ELENA STANCANELLI, la Repubblica 24/8/2010, 24 agosto 2010
PER LE STRADE DI TOR BELLA MONACA "MA QUI NON C´È SOLO DEGRADO" - C´è
un unico autobus che collega Tor Bella Monaca al centro di Roma. Il 105, che da Grotte Celoni porta alla stazione Termini percorrendo tutta la via Casilina. Sono più o meno quindici chilometri che equivalgono a ore, nel traffico romano. Ma gli abitanti non soffrono l´isolamento dal centro, come accade in altri quartieri. Tor Bella Monaca non è del tutto sguarnita di divertimento, né di bellezza. Non nasce col crisma della disperazione. C´è un teatro, che ha una programmazione impeccabile e una bella chiesa di Pierluigi Spadolini, la chiesa di Santa Maria Madre del Redentore. Un colpo d´occhio superbo sullo sfondo dei palazzi di città. Né mancano scuole, negozi, centro commerciali. Rispetto a molte altre periferie romane, potrebbe considerarsi fortunata. «È persino costruita in un bel posto», dice un vecchio abitante. «Quando mi ci sono trasferito, nel 1963, si stava benissimo».
Il disastro, secondo tutti quanti, inizia negli anni Ottanta. E non si tratta di un´invasione di cavallette o un meteorite. Il disastro sono le torri. R1 R2 R3..., ognuna con un indice diverso di vivibilità, ma nessuna completamente in pace. Tor Bella Monaca di colpo precipita nell´inferno della criminalità, per colpa della progettazione e assegnazione dei nuovi lotti. Terminati i lavori, cominciano infatti ad arrivare i nuovi abitanti. «C´è chi insinua che dietro le selezioni ci sia stata una regia malandrina - spiega ancora quel vecchio abitante - che per ripulire altre zone avrebbe convogliato qui tutti i soggetti più pericolosi». Più probabilmente, come quasi sempre accade, gli aventi diritto, gli assegnatari ufficiali, vengono soppiantati, o cedono il loro privilegio in cambio di denaro. In questo modo si creano della catene di illegalità impossibili da scardinare. «Non è raro - racconta un ragazzo - che qualcuno torni dalle vacanze e trovi la sua casa occupata da qualcun altro».
Qualunque sia il metodo, il risultato è che in fretta si creano delle enclave di criminalità, favorite dalla scellerata utopia del grattacielo-giardino. Cioè un piccolo blocco formato da edifici alti quindici piani che racchiudono al loro interno un quadrato di terra, o di cemento, adibito a parcheggio. Un territorio inaccessibile a qualsiasi controllo, all´interno del quale può accadere qualsiasi cosa. E sul quale regna una criminalità tutta italiana, capace di appestare un intero quartiere. «La colpa qui è nostra, gli stranieri non c´entrano» dice il padrone del bar col quale sto parlando. Vicino a noi c´è una ragazza bionda che ascolta in silenzio. Non sorride, non annuisce. Ha uno sguardo che mi colpisce. «Non siamo tutti criminali», sussurra. «Lo so - dice lui - non intendevo...». «Io abito lì» continua lei senza ascoltarlo, e indica una delle torri. «Nella mia torre - dice - siamo 64 famiglie. Tutte famiglie per bene. Tranne tre. Ma quelle tre, tengono in scacco l´intero edificio». E come se fosse del tutto normale dice: «Abito al decimo piano, ma sono anni che io non prendo l´ascensore. Nessuno, nella mia torre, prende più l´ascensore, soprattutto le ragazze». So che ci sono disagi peggiori, orrori da affrontare ogni giorno, ma lo sguardo spaventato di questa ragazza mi commuove e mi insegna più di ogni altra cosa. Da cosa si dovrebbe ripartire, se non si riesce neanche a garantire a una persona di prendere l´ascensore a casa sua?
Tor Bella Monaca non è un quartiere dall´apparenza degradata. Si cammina tranquilli, sebbene allietati dall´infernale rombo di motorini e moto lanciati come missili. Ma tutto cambia quando ci si accosta alla famigerata R3, la centrale dello spaccio. Qui intorno quasi tutte le strade sembrano aver ceduto a un identico maleficio: sono cieche. Finiscono nel nulla, contro improvvisi muretti. Un monopoli impazzito. Ci sono automobili gigantesche e costosissime, poche, coi vetri scuri, che pattugliano la zona. I muri dei palazzi sono impercettibilmente più sbreccati, e dove immagini che ci sia un passaggio, vedi un cancello, e qualcuno che lo controlla. Tutto è sotto controllo. Persino io, che non ho certo l´aspetto di una guardia, vengo avvicinata un paio di volte da qualcuno che si limita a fissarmi attraverso i vetri della macchina.
Dentro la torre R3, affianco alle cassette postali, c´è una piccola statua di Padre Pio. Ho chiesto a tutti quelli che ho incontrato quale soluzione immaginassero per il quartiere e se pensavano che raderlo al suolo potesse essere quella giusta. Mi aspettavo sdegno, o consenso. Ho trovato solo braccia spalancate e rassegnazione. Padre Pio ha sostituito l´insopportabile ma vitale «so io cosa si dovrebbe fare». E non credo sia un buon segno.