Elisa Calessi, Libero 24/8/2010, 24 agosto 2010
«FEDELI A SILVIO, MA POTREMMO USCIRE DAL PDL»
[Intervista a Gianfranco Rotondi]
Premessa: venerdì, al vertice del PdL, vengono convocati coordinatori, ministri, sottosegretari, finiani e non. Tutto il gotha del PdL. Tranne Gianfranco Rotondi. Il ministro per l’Attuazione del programma e segretario della Nuova Dc, piuttosto scocciato, minaccia una «sorpresina» contro il Cavaliere. Ministro, cosa sta meditando? «Partiamo dall’inizio. Potrei citare un testimone eccellente, il direttore di Libero. Lui sa che il Popolo delle Libertà ha un copyright rotondiano». Il PdL è invenzione sua? «Esatto. Eravamo vicini alle Politiche del 2008. Berlusconi, in un’occasione non politica, disse: “Non vorrei, dopo la sarabanda di Prodi, presentarmi pure io con una dozzina di partiti. Ma come se ne esce?”. Io gli dissi: “Come De Gaulle: fai un discorso al Paese e presenti una solo lista, i cui parlamentari si impegnano a fare due cose: garantirti lealtà e dar vita a unico partito del centrodestra”». E nacque il PdL. Ma senza la Nuova Dc. «Proprio così. S’immagini la sorpresa quando seppi che lui e Fini avevano fatto il PdL e io, che gliel’avevo suggerito, non ero stato chiamato davanti al notaio». Poi, però, entraste anche voi nel PdL. Ma non è che le cose sono migliorate.
«In questi due anni di essere cofondatori non ce ne siamo mai accorti. La riunione di venerdì è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non solo non siamo stati chiamati, ma il parterre rifletteva gli equilibri correntizi di An. Berlusconi sembrava un segretario democristiano assediato dai capi-correnti. Il paradosso è che io ora mi trovo a chiedergli di dire qualcosa di berlusconiano. Oltretutto la riunione, stavolta, era sul programma e io, ministro del programma, non sono stato convocato».
Ma chi fa le convocazioni?
«La responsabilità è di Berlusconi».
Secondo lei perché vi ignora?
«Ci considera i più fedeli, sa che da noi non vengono sorprese». Invece stavolta potrebbe sbagliarsi, giusto? Che sorpresa è in arrivo?
«Noi saremo sempre dalla parte di Berlusconi. Il tema non è il governo, ma il partito. E qui una sorpresa è da mettere nel conto. Se dopo due anni noi non esistiamo, non abbiamo un solo coordinatore nelle provincie, non abbiamo un uomo nella struttura del partito, non siamo mai stati convocati per discutere linee politiche a cui ci siamo sempre adeguati, di fronte a questo disordine che stento a ritenere solo organizzativo, la via è semplice». Insomma, ve ne andate dal PdL.
«Se Berlusconi ritiene essenziale mantenere una componente democristiana nel suo partito, lo deve dire e fare delle scelte.
Se no, prenderemo atto di esserci sbagliati e daremo un’espressione diversa alla presenza dei democratico-cristiani nella grande avventura di Berlusconi».
Tra l’altro al Senato, in caso di rottura, i 4 senatori della Nuova Dc rischiano di essere decisivi... «Le considerazioni fin qui fatte riguardano la prossima campagna elettorale. Io ritengo la via maestra quella delle elezioni, non sonoinnamoratodellacontinuazionedella legislatura».
Se uscite dal PdL potreste ritornare nell’Udc? È vero che vi hanno cercato? «Noi nel PdL non posso dire che ci siamo trovati bene. Detto questo, il discrimine è che noi abbiamo scelto Berlusconi come successore dell’orizzonte ideale della Dc e del Psi. E di questo non siamo pentiti. Se poi alle elezioni possiamo rilanciare insieme il PdL o ognuno deve remare per conto suo, questo lo vedremo. E dovrà essere Berlusconi a dircelo».
L’altro giorno ha detto che i cinque punti decisi dal vertice del PdL sono «una ribollita». Lo pensa ancora? «Certo. E non vedo perché i finiani non dovrebbero votarli. Il punto è: hanno voglia i finiani di un’altra legislatura con Berlusconi alla guida? Se la destinazione non è la stessa, è meglio se ce lo diciamo prima». Cosa ne pensa della proposta di Italo Bocchino, fare un esecutivo sostenuto da PdL, Udc, Fli e moderati del Pd?
«Questo è l’ultimo governo della legislatura. Decida Bocchino quanto vuole farla durare. Ma sia chiaro: se cade questo governo ci sono solo le elezioni».