PIETRO VERONESE, la Repubblica 24/8/2010, 24 agosto 2010
AL SHEBAB, I MILIZIANI DELL´ISLAM CHE SANNO SOLTANTO COMBATTERE
Nell´inverno del 2002, quattro mesi dopo l´attentato alle Torri gemelle e all´indomani della breve e vittoriosa campagna militare contro l´Afghanistan dei Taliban, l´America andava cercando un nuovo bersaglio per la sua ira. La «guerra al terrorismo» era stata appena dichiarata dal presidente Bush e, subito chiuso - così allora ingenuamente si credeva - il capitolo afgano, l´intelligence del Pentagono si chiedeva su quale campo di battaglia si sarebbe aperto il successivo. Per un momento parve che il fronte si sarebbe spostato in Somalia. Un Paese in piena guerra civile, senza Stato né legge, dove imperversavano signori della guerra ma anche bande islamiste e dove gli americani erano stato umiliati e ridotti a un precipitoso ritiro dieci anni prima.
Le avanguardie logistiche della macchina da guerra americana fecero i loro sopralluoghi in Somalia, puntualmente seguite dal codazzo degli inviati dei media internazionali. Ma poi non se ne fece nulla. L´intelligence aveva deciso che quel Paese anarchico e pericoloso non costituiva un clear and present danger, una minaccia immediata per gli interessi globali dell´Occidente. E l´attenzione si spostò sull´Iraq.
Sono passati otto anni e la Somalia è oggi il Paese dove più virulento e aggressivo è l´estremismo fondamentalista islamico. Insieme allo Yemen, sull´altra sponda del Mar Rosso: solo che in Yemen le milizie legate ad Al Qaeda sono, per il momento almeno, tenute in scacco; mentre a Mogadiscio esse appaiono sulla soglia del potere. È altamente improbabile che le cose starebbero meglio se nel gennaio-febbraio 2002 i B-52 avessero bombardato quelle distese semidesertiche. Eppure, mentre le formazioni islamiste di allora apparivano più che altro il residuo di antiche fazioni somale, istigate dall´Arabia Saudita e attive un ventennio prima, ecco una nuova leva di combattenti fanatici e molto agguerriti occupare la scena devastata della guerra civile e presentarsi in posizione eccellente per una possibile vittoria finale: il controllo di Mogadiscio e di tutto il centro-sud del Paese.
I giovanissimi miliziani di Al Shebab, i "ragazzi" che combattono in nome di Allah, sono i figli del vuoto - niente pace, niente scuole, niente speranze di futuro in uno stato di conflitto fratricida permanente - che nuclei di fanatici hanno riempito con un ferreo indottrinamento. Il ricorso al Corano come unico sostegno della vita associata non è una novità nella Somalia della guerra civile. Fin dagli anni Novanta il movimento delle cosiddette Corti islamiche aveva reintrodotto una parvenza di legge e ordine imponendo la sharia: uno dei leader di quel movimento, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, è oggi il presidente designato della Somalia, con il beneplacito dell´Occidente. Al Shebab nacque come una costola delle Corti, anche se le sue origini sono in parte controverse: una specie di unità militare d´élite, dotata anche di un´ideologia più estrema, radicata nel concetto coranico di jihad, di guerra santa contro gli infedeli. Quando le Corti infine s´impadronirono brevemente di Mogadiscio, nel 2006, per venirne subito dopo scacciate manu militari dall´intervento etiopico, Al Shebab rimase sola in prima linea, e la diffidenza con cui la popolazione guardava al suo fanatismo fu vinta dal suo ruolo patriottico, nazionale, contro l´invasione del nemico storico. Oggi gli etiopici si sono ritirati, ma c´è un nuovo "invasore" da combattere: gli oltre cinquemila soldati ugandesi e burundesi che fungono da forza di sostegno del Governo federale di transizione sotto la bandiera dell´Unione africana.
Il resto è storia recente, seguendo lo schema di fazioni che si staccano dalla precedente assumendo posizioni sempre più forsennatamente estremiste. Nel 2009 è stata la volta di Hizb Al Islam, il partito dell´Islam. E soprattutto, dentro Al Shebab, sarebbe cresciuto a dismisura il potere degli «stranieri», i jihadisti di professione, veterani della guerra santa dall´Afghanistan al Pakistan al Sahara, variamente legati ad Al Qaeda e di tutti i più radicali, i più invasati, i più avversi ad ogni compromesso. È questa la fazione alla quale vengono attribuiti gli attacchi più feroci, compreso quello di ieri, contro il governo di transizione messo faticosamente in piedi dai mediatori internazionali dopo anni di estenuanti negoziati tra clan e fazioni. Questi militaristi di Allah sono ovviamente invisi agli stessi somali, ma impongono il proprio ruolo con il terrore. Sono costretti a uccidere per restare in vita e la ferocia delle loro gesta è sintomo della loro debolezza, che però riescono a difendere con il sangue degli altri.