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 2010  agosto 24 Martedì calendario

Sparando alle stelle abbiamo trovato il cinema - Attraversa i secoli un gusto quasi perverso per gli inganni della vista

Sparando alle stelle abbiamo trovato il cinema - Attraversa i secoli un gusto quasi perverso per gli inganni della vista. Oggi si esprime nel cinema 3D, domani sarà la tv a portare in salotto tridimensionali veline procaci. Il 28 dicembre 1895 a Parigi esordivano i cortometraggi di Lumière al Grand Café sul Boulevard des Capucines, illusione dovuta alla persistenza delle immagini sulla retina. Prima c’erano le lanterne magiche, che rimangono in cima alla graduatoria degli inganni fascinosi proprio per la loro disarmante ingenuità. Lo conferma la mostra aperta fino al 7 novembre nella Reggia della Venaria «Le macchine della meraviglia», curata da Donata Pesenti per il Museo del Cinema di Torino e Laurent Mannoni per la Cinémathèque Française di Parigi: 600 straordinari pezzi, il meglio dei 26 mila tra lanterne magiche e vetri conservati dai due musei, più contributi di collezioni pubbliche e private. Il tutto immerso in una penombra incantata, tra raffinate citazioni letterarie e cinematografiche, da Fellini a Visconti a Bergman. La cosa curiosa è che macchine poi destinate allo svago siano nate per fini scientifici. Si è a lungo attribuita la lanterna magica al gesuita tedesco Athanasius Kircher perché la descrive nella sua Ars magna lucis et umbrae. In effetti Kircher usò questa tecnica, che definisce «taumaturgica», per fare propaganda religiosa, e ne parla: non però nella prima edizione dell’Ars magna, che è del 1646, bensì in una edizione più recente. L’invenzione della lanterna magica è invece merito dell’olandese Christiaan Huygens, scopritore della vera forma degli anelli di Saturno, studioso della luce e, in questo ambito, ideatore della prima macchina per proiettare immagini fisse e in movimento. Suo è anche il prototipo dei «vetri animati»: alla Venaria è esposto il suo disegno di uno scheletro che si mette e toglie il cranio come fosse un cappello, quasi un film dell’orrore ante litteram. Il cordone ombelicale con l’astronomia si ritrova nelle origini del cinema. Per osservare in Giappone il transito del pianeta Venere davanti al Sole, l’8 dicembre 1874, Pierre Jules Janssen inventò un «revolver fotografico» che scattava una immagine al secondo. Il materiale sensibile stava intorno a un disco messo in rotazione da un meccanismo a orologeria con ingranaggio a croce di Malta che fermava la ruota nell’istante della posa: come il tamburo di una pistola ma con i fotogrammi al posto dei proiettili. Proiettate di seguito, le immagini riprese con il «revolver fotografico» costituivano un piccolo film: grazie a quel documento si riuscì a misurare meglio la distanza Terra-Sole. Sempre per motivi scientifici, al revolver segue il «fucile fotografico» del fisiologo francese Etienne-Jules Marey, che lo usa per studiare il volo degli uccelli e altri fenomeni troppo veloci per essere colti dall’occhio. Poi la scena del pre-cinema si sposta a Palo Alto, in California. Protagonista questa volta è il fotografo Eadweard Muybridge. Siamo nel 1878. La questione da risolvere riguarda il galoppo dei cavalli. Durante la corsa il cavallo «vola» sopra il terreno a gambe tese o ripiegate? All’occhio sfugge un moto così rapido. Muybridge pensa allora di ottenere immagini in sequenza disponendo 24 camere fotografiche a distanze regolari. Ad azionarle erano dei fili di lana che il cavallo strappava galoppando lungo il percorso. Lo strappo agiva su un grilletto che sparava la foto. Il verdetto non lasciò dubbi: il cavallo al galoppo stacca le quattro zampe dal terreno tenendole ripiegate. Lo studio proseguì con un uomo e una ragazza nudi. L’uomo correva e lanciava un pallone. La ragazza si infilava sotto le lenzuola. Grazie all’audacia della ripresa, difficilmente giustificabile con esigenze scientifiche, la deambulazione umana probabilmente risultò più interessante di quella equina. Nota a margine. Muybridge si allontanò dall’arte fotografica quando scoprì che sua moglie lo tradiva con un amante: in quel caso usò un fucile non per fotografarlo ma per ucciderlo. Fu assolto, un giudice troppo magnanimo ritenne l’omicidio «giustificato». Ma questa è un’altra storia.