Alberto Mattioli, La Stampa 24/8/2010, pagina 29, 24 agosto 2010
BASTA UNO STARNUTO PER SEPPELLIRE LA MUSICA
E’ il colmo: rovinarsi le vacanze per colpa di un raffreddore. Ma non tuo: degli altri. La sventura di aver scelto come passione della vita l’opera è che ci vuole qualcuno che la canti. Quindi sei sempre alla mercè della gola altrui. Uno starnuto, un colpo di freddo di lor cantori e tu hai fatto qualche centinaio di chilometri per niente, o almeno non per chi volevi ascoltare.
Quest’estate, però, si sta esagerando. Quattro forfait in una settimana, tra il festival di Salisburgo e quello di Bayreuth, sono un’enormità, l’equivalente operistico della nuvoletta che segue il ragionier Ugo Fantozzi. Le spiegazioni possibili sono due, una razionale e l’altra, diciamo così, mistica. Quella razionale, naturalmente, ha a che fare con la tipica imprevedibilità meteo dell’Europa centrale, complicata dagli ultimi sconvolgimenti climatici (altro che mezze stagioni, madama mia: qui ci si accontenterebbe che ci fossero ancora le stagioni intere, tipo l’estate). Insomma, se si continua a passare, in un pomeriggio solo, da un novembre tendenza dicembre a un caldo africano con complicazioni monsoniche è il minimo che qualcuno si ammali. E se la frenetica alternanza impermeabile-bermuda è pericolosa per il turista, risulta fatale per chi con i bronchi ci lavora.
La spiegazione mistica riguarda invece l’imperscrutabile cattiveria del fato. Nell’estate 2010 l’operoinomane che scrive ha peccato di ubris, tentando di stabilire il suo nuovo record personale di tredici opere in tredici giorni. Il dio del melodramma, capriccioso come in una tragedia greca, l’ha castigato con uno dei suoi soliti insensati decreti: sì, il record si realizzerà, però a forza di rimpiazzi. Ma perché proprio a me? Boh, risponderebbe in sostanza l’oracolo di Delfi.
E infatti la sagra della sostituzione last minute è iniziata già lunedì 16 a Salisburgo. Prima che il sipario si alzasse sull’Elektra di Strauss, non da Tebe ma dalla direzione del Festival è arrivato un messo annunciando che non c’era più Elettra, Iréne Theorin. Bel problema perché la parte sembra un capitolo degli Studi sull’isteria di Freud (del resto coevi) e alla signora è chiesto di sparare acuti a ripetizione su un’orchestra scatenata di cento elementi. Comunque il Festival ha raccattato un’Elettra di riserva, Janice Baird, che l’opera l’ha cantata e anche benino. Resta il mistero della Theorin che è una svedesona di quelle che escono in maglietta a Stoccolma a gennaio: e mi si ammala a Salisburgo in agosto?
Seconda mazzata del fato, venerdì a Bayreuth. In un colpo solo, l’Oro del Reno perde il dio Wotan, Albert Dohmen, e il gigante Fafner, Diògenes Randes. Per Fafner, pochi problemi: l’Hagen del Crepuscolo degli dei è stato prontamente arruolato. Se vi pianta Wotan, invece, è un guaio: alla fine, è spuntato un tale che non aveva la voce per la parte e non la sapeva nemmeno tanto bene. Ma almeno così Dohmen ha potuto prendere i brodini e le aspirine, guarire e fare, il giorno seguente, una magnifica Valchiria.
Però il peggio, naturalmente, deve ancora venire: ieri l’altro, sempre Bayreuth, in cartellone Lohengrin con la star Jonas Kaufmann, il tenore più cool del momento, bravo e bello, seguito ovunque da un codazzo di fan dei tre sessi. E Kaufmann, che pure a Ferragosto aveva cantato magnificamente nel fantastico Fidelio di Abbado a Lucerna, ovviamente si scassa. Seguono scene di ordinaria isteria, tipo un’americana di mezza età molto wasp e vestita come per un party agli Hamptons che singhiozza davanti al fatale comunicato: «Ma io vengo apposta da New York!». Solito gioco delle tre tavolette: Klaus Florian Vogt, fresco di Maestri cantori di Norimberga, viene caricato sul cigno e spedito nel Lohengrin, peraltro funestato dalla regia più idiota che io abbia visto in vita mia (basti dire che i nobili brabantini sono vestiti, chissà perché, da topi. Sì, proprio topi, ratti, sorci, pantegane: segnatevi il nome di questo regista, Hans Neuenfels, ed evitatelo). Però il buon Vogt ha fatto bene, grazie al boccolo biondo è risultato anche lui belloccio o almeno guardabile («looks like a boy scout, but not bad», sempre secondo l’americana di cui sopra) ed è stato applaudito come il salvatore della patria. Resta la suspense: Kaufmann ha un concerto a Salisburgo domani e l’ultimo Lohengrin qui venerdì. Canta? Non canta? Pare che il dio del melodramma stia meditando di mandarci una bella pestilenza, e farla finita.