SANDRA RICCIO, La Stampa 24/8/2010, pagina 11, 24 agosto 2010
Nei campi un tesoro che si vende in saldo - Un patrimonio a prezzi ultra low cost. Pomodoro, olio di oliva, pasta, pane e buon vino potrebbero presto diventare patrimonio dell’Umanità
Nei campi un tesoro che si vende in saldo - Un patrimonio a prezzi ultra low cost. Pomodoro, olio di oliva, pasta, pane e buon vino potrebbero presto diventare patrimonio dell’Umanità. Ieri l’Unesco ha suggerito di inserire la Dieta Mediterranea nella prestigiosa lista delle tradizioni considerate patrimonio mondiale immateriale dell’Umanità. Una ricchezza per tutti che però rischia di non dare più da mangiare ai tanti che ci lavorano ogni giorno. Neanche a farlo apposta, il riconoscimento internazionale arriva infatti proprio nel momento in cui il basso costo di alcuni dei principali prodotti di questa dieta sta mettendo seriamente in ginocchio gli attori principali di questo storico successo. Il malessere si legge chiaramente nelle proteste di queste settimane. Le manifestazioni organizzate dai pastori sardi ne sono un esempio. A spingere in piazza centinaia di persone è quello che loro stessi hanno chiamato lo «sfascio» della pastorizia isolana che è fatto di mercati di sbocco per carne, latte e lana che non rendono più, è fatto di problemi di liquidità per la stretta del credito, di pagamenti comunitari che non arrivano, e naturalmente anche di concorrenza sempre più sleale dagli altri Paesi. Il risultato finale è che ogni litro di latte gli viene pagato meno di 60 centesimi, vale a dire meno del costo di un caffè al bar. Ma anche la carne che producono è sottopagata: per ogni chilo ricevono quattro euro che poi, come sappiamo, diventano almeno 12 in macelleria. Di contro il settore denuncia un progressivo incremento dei costi che determina ulteriori pressioni su tutto il comparto, già in difficoltà sul piano della competitività. Ma quella dei pastori sardi è soltanto una delle tante voci che si sono alzate dal mondo della produzione agroalimentare negli ultimi tempi. Eravamo abituati alle manifestazioni per le quote latte, ma a far compagnia ai produttori del Nord si sono aggiunti nuovi attori. Tra i nuovi arrivati ci sono i viticoltori piemontesi. La prossima sarà molto probabilmente una buona vendemmia, tanto che promette il 5% in più dell’anno scorso e rischia di superare persino i concorrenti francesi. La buona notizia fa però disperare il Piemonte vitivinicolo perché anche per effetto delle grandi quantità arrivate sul mercato, molto probabilmente, quest’anno il Barolo sarà pagato due euro e mezzo al litro e il Barbaresco poco più di un euro. Per questo motivo le cantine sociali e i consorzi dell’Astigiano e dell’Alessandrino hanno già lanciato un vero e proprio Sos per «il vigneto che non rende più» e hanno invitato alla mobilitazione il 2 settembre ad Asti. «La Barbera e il Monferrato Dolcetto - dicono associazione Vignaioli Piemontesi, dai consorzi di tutela dei vini dei colli tortonesi, dei vini d’Asti e del Monferrato e d’Acqui - rischiano di scomparire dalle colline del Piemonte. Il vigneto non rende più e molti viticoltori lo abbandonano. Ben 12 mila famiglie non hanno più alcuna certezza economica per il loro futuro. Noi cantine e consorzi - dicono - abbiamo fatto e stiamo facendo il massimo, ma degli aiuti richiesti non abbiamo ottenuto nulla. Non siamo in grado di affrontare la vendemmia». Il secondo fronte di tensione arriva dal mondo dell’Asti e del Moscato. Anche qui tutto ruota intorno alle quotazioni. Le aziende spumantiere minacciano di disertare il tavolo per il rinnovo del prezzo. Per andare avanti vogliono che l’uva gli sia pagata 96,5 euro al quintale. I produttori di pomodoro del Sud Italia, gli allevatori del Nord, i pastori sardi, i viticoltori del Piemonte sono una geografia che rappresenta solo un altro specchio di una crisi latente che da tempo sta mettendo a dura prova una buona fetta del comparto agroalimentare italiano. E chi ogni giorno lavora per custodirne le eccellenze e per fare in modo che il Made in Italy da tavola mantenga alto il suo buon nome sta attraversando una dura prova che potrebbe danneggiare irreparabilmente il settore nel prossimo futuro.