PAOLO RUMIZ, la Repubblica 24/8/2010, 24 agosto 2010
Puntata n.20 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) L’ODORE DELLA SCONFITTA - Calabria. E adesso, caro luogotenente Cariolato, tu che mi accompagni e sei padrone della mia camicia rossa, spiegami un po’ perché dall’Aspromonte fino a Napoli fatico tanto a capire cos’è accaduto alla vostra spedizione
Puntata n.20 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) L’ODORE DELLA SCONFITTA - Calabria. E adesso, caro luogotenente Cariolato, tu che mi accompagni e sei padrone della mia camicia rossa, spiegami un po’ perché dall’Aspromonte fino a Napoli fatico tanto a capire cos’è accaduto alla vostra spedizione. È tutto così strano. Ci avete messo tre mesi a far vostra la Sicilia, e poi vi bastano poche settimane per conquistare tutto il resto. Eravate diventati trentamila, è vero, ma in casa borbonica un’intera catena di comando si è squagliata, come l’8 settembre ’43. Dimmi: tra Messina e Napoli è successo davvero qualcosa, o la vostra è solo una fatamorgana, come la fine del comunismo in Romania? Montagne arcigne, frane, cemento criminoso. Avete stravinto, mi dice Cariolato. Ma allora com’è che stiamo entrando in una terra che sa di disfatta? Sconfitti i Borboni, sconfitta l’Italia, sconfitti i liberali, sconfitti i contadini. Sconfitto pure Garibaldi, che torna due anni dopo perché capisce che l’Italia ha tradito le promesse, e viene ferito dalle truppe del suo re perché l’Ordine ha sostituito la Rivoluzione. Molti dei tuoi compagni sono fucilati, gettati in prigione, e il Sud diventa la tragedia di tutti, tranne che per i latifondisti e la mafia. "Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali - scrive il Generale - sono incommensurabili. Non ripeterei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di esser preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e odio". Viaggeremo in una doppia tragedia, quella di uno Stato borbonico che si dissolve, si lascia comprare, diserta, umilia chi resta al suo posto e manda al potere i voltagabbana; e quella di un condottiero che prima fa l’Italia e poi viene liquidato come un brigante. In una lapide a Centùripe abbiamo letto parole di sdegno per quell’umiliazione: "Il mancato parricidio d’Aspromonte / ferì il cuore della nazione / marchiò d’infamia il nuovo regno / non distolse l’eroe / dalla magnanima impresa / non offuscò la sua fede / nel trionfo di Roma". Ma Centùripe è Sicilia. Qui in Calabria è altra cosa. Garibaldi smette di essere un mito. Preparati, amico mio. Ora escono dall’ombra gli spettri del passato. Nella Locride, per esempio, non riemergono dal tempo solo rovine greche e bronzi di Riace. Ora tornano anche i re borbonici che, sotto forma di busti o ritratti, furono frettolosamente nascosti dagli opportunisti all’arrivo dell’Italia, oppure religiosamente sepolti dagli ultimi nostalgici in qualche cripta del terreno, al riparo da mano sacrilega. Raccontano che a Gerace, poco tempo fa, è caduto un piccolo muro in un ufficio pubblico, e dietro la breccia nei mattoni è apparsa la faccia terribile e un po’ imbolsita di Ferdinando II, un busto in ghisa confezionato nella reale fonderia di Mongiana, poco lontano dal convento di Serra San Bruno. Ora conviviamo con la sconfitta. Quando a Vibo in un pomeriggio di estenuante levantazzo troviamo da dormire poco sopra la cattedrale, scopriamo di abitare nella stessa casa dove dormì Gioacchino Murat, l’ex re di Napoli al tempo di Napoleone, alla vigilia della fucilazione sulle coste del Tirreno. Ci segue anche la maledizione di Bronte e dei suoi morti innocenti: incontro l’avvocato Francesco Tassone, specialista della questione meridionale, e scopro che è stato parte civile al processo postumo contro Nino Bixio, il malfamato esecutore, e che (per omertà unitarista) allora qualcuno decise di non emettere la sentenza "per estinzione del reato", a causa della morte del reo. Che meraviglia, gli intellettuali illuminati del Sud. Non attaccano con rancore neoborbonico o gli argomenti clericali dei padani. Attaccano sui fatti. Tassone a 82 anni lavora ancora per costruire cittadinanza e invertire la politica intesa come "industria della protezione", termine che ho trovato di sublime chiarezza. Il Meridione, dice, non è Italia. Fu la prima delle colonie. Poi vennero l’Eritrea, la Libia, l’Etiopia e la proclamazione dell’impero. Parole toste, vero, luogotenente Cariolato? Ma noi non abbiamo paura di sentirle. Non temiamo il vero. Nessuno più di un garibaldino conosce i tradimenti dell’unità. "Siamo tuttora una colonia - insiste sorridendo l’avvocato - e la Lega ha ragione: il Sud non esiste, non ha senso di appartenenza. I nostri parlamentari non difendono l’identità locale; sono solo ascari che vendono voti in cambio di assistenza, e questo meccanismo attira la criminalità organizzata. E poi c’è stato l’infeudamento della classe dirigente meridionale, favorito dal Piemonte. Ovvio che così dell’unità non resti più niente". E di Garibaldi cosa resta? "Ce lo inculcarono da bambini, con l’acculturazione fascista di massa. Ricordo che mi commossi per la storiella del generale in lacrime davanti a un grillo senza una zampetta... Ma tra i contadini c’erano altri miti, c’era Murat che gridava "Sparate al petto a me" al plotone di esecuzione, c’era Giosafatte Talarico che difendeva i poveri dalle angherie dei nobili, c’erano alcuni irriducibili briganti aggrappati all’autogoverno del territorio. Negli anni ho cominciato a rileggere Garibaldi fuori dal mito. Ora lo vedo come un buon combattente, ma con idee poco chiare in politica...". A cena da "Gregorio" a Maierato, a picco sul mare con la mia camicia rossa a capotavola, briciole di mito riemergono nel dialogo con gli ospiti locali. Anna racconta di nonna Teresa a Curinga che conservava come una reliquia un calzino blu scuro di Garibaldi che pernottò in casa sua, calzino che poi sparì in un furto di mobilio. E poi ancora lapidi a Maida, Soveria, Castrovillari. Peppino sbuffa, è insofferente con chi critica il generale. "Ma lo capite? Qui non c’era un c...; solo pane e cipolla, il potere dei vescovi e dei feudatari. Neanche il barlume di un’idea... Invece Garibaldi l’idea la portò, e non la tradì! Non sopporto gli st... che gli tirano pietre. Non ha infranto nessuna promessa. E poi in Aspromonte c’è tornato, sì o no?". L’indomani a Lamezia trovo il libro giusto: Roberto Martucci, "L’invenzione dell’Italia unita". Lettura disincantata e non preconcetta. Il capitolo su Soveria è inquietante. Garibaldi ha di fronte un campo trincerato con diecimila uomini e cannoni. Lo comanda il generale Ghio, uno tosto, che ha sbaragliato Pisacane a Sapri. Ma la guarnigione si scioglie come neve al sole. Che è successo? L’ipotesi, da accertare, è che Garibaldi abbia promesso ai soldati le terre della Sila. Promessa mantenuta? Per niente. Qualche anno dopo il governatore della zona, Donato Morelli, minaccerà la fucilazione a chiunque dovesse avanzare una richiesta simile. E non basta: il generale Ghio sarà nominato comandante della piazza di Napoli. Trovo altri libri, con foto di Garibaldi, cerco pagina per pagina se c’è un documento del famoso orecchio che i clericali vorrebbero tagliato. Niente da fare. Tirem innanz. Si continua alla baionetta. Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)