Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Berlusconi e Fini non hanno fatto la pace e le dichiarazioni di ieri sera del presidente del Consiglio significano soltanto questo: «Caro Fini, la responsabilità di una crisi politica con eventuale scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate è solo tua, e il Paese lo saprà. Pensaci e non fare mosse azzardate».
• Ha detto proprio così?
No, questo è il senso della sua dichiarazione. Che letteralmente è questa: «Fini desista dall’idea di creare un gruppo autonomo, un’iniziativa incompatibile con il ruolo di presidente della Camera. Attendo una risposta positiva. Il governo va avanti comunque. Tra un anno, un anno e mezzo si terrà il congresso del partito». Parole, ha precisato il presidente del Consiglio, pronunciate a nome di tutto l’ufficio di presidenza riunito nel pomeriggio, 37 persone tra le quali non c’è Fini.
• Che significa “gruppo autonomo”?
Sono i gruppi parlamentari. I partiti non siedono alla Camera e al Senato con la loro ragione sociale. I deputati e i senatori, appena eletti, devono formare un gruppo ed eleggere un capogruppo. evidente che il gruppo è sempre formato dai parlamentari del partito, quindi c’è il gruppo del Pd, il gruppo del Pdl, il gruppo dell’Udc, della Lega, dell’Idv eccetera. La differenza è questa: il partito è un soggetto privato, il gruppo è un’istituzione prevista dalla nostra carta. In questo momento, essendo la vecchia Forza Italia e la vecchia Alleanza Nazionale confluite nel Popolo della Libertà, alla Camera e al Senato il partito di Berlusconi-Fini è rappresentato da un solo gruppo. Nella colazione di giovedì, invece, Fini ha avvertito che, se non cambieranno le cose, riunirà i suoi fedelissimi, a Montecitorio e a Palazzo Madama, in gruppi separati da quelli del Pdl. La risposta di Berlusconi, «in questo caso sarà una scissione», è corretta. La faccenda della presidenza della Camera e delle elezioni anticipate è invece parecchio dubbia.
• Perché?
Nessuno può sfiduciare o destituire il presidente della Camera. Quindi, per quanti appelli e grida di indignazione lancino il capo del governo e i suoi uomini, se Fini vuole fare la scissione e restare presidente nessuno glielo può impedire. Quanto alle elezioni anticipate, la decisione spetta a Napolitano. Che, Costituzione alla mano, può sciogliere le camere solo nel caso non vi sia in Parlamento nessuna maggioranza disposta a sostenere un governo. Però accade questo: i finiani (Bocchino, Urso), subito dopo il match di giovedì tra Fini e Berlusconi, hanno detto che i gruppi del Pdl-Italia (si chiamerebbero così) resteranno nella maggioranza di governo, votando sempre a favore dei provvedimenti coerenti col programma elettorale e decidendo di volta in volta per quelli extra-programma. In questo modo, non ci sarebbe una ragione formale per sciogliere le camere e Fini, restando oltre tutto presidente dell’Assemblea (quindi in una posizione decisiva per orientare la discussione e decidere i calendari), potrebbe con i gruppi autonomi tenere sulla graticola Bossi e Berlusconi per tre anni.
• Ma in definitiva Fini che vuole?
Le elezioni regionali, molto favorevoli per la Lega, hanno creato un asse Bossi-Berlusconi che pare in questo momento determinante. Fini ha ricordato a Berlusconi che la quota An dentro il Popolo della Libertà è stata concordemente valutata pari al 30%. E vuole pesare nel partito per almeno il 30%. C’è un’altra considerazione: i decreti attuativi del federalismo fiscale potrebbero creare un forte scontento al Sud. Di più: la politica filoleghista che si annuncia potrebbe mettere in crisi gli elettori di destra meridionali. C’è da un anno uno stallo in Sicilia, dove si combattono due centro-destra nemici, e si annuncia di continuo la scesa in campo di un partito del Sud, antigovernativo o quasi. Fini punta evidentemente a raccogliere quell’eventuale malcontento. Per questo ha bisogno di tempo. Vuole anche rompere, a suo modo, ma senza che si vada al voto.
• Da quello che dice, sembra che sia difficile per Berlusconi costringere il Quirinale al voto anticipato.
Ieri Bossi ha detto: «Temo che le cose non si rimettano a posto. Se le cose non andranno a posto, lo scenario possibile saranno le elezioni». Il senatùr se ne intende: dopo aver lasciato il ministero dell’Agricoltura al berlusconiano Galan, ha preteso che Zaia in Veneto rifacesse la giunta e desse l’assessorato all’Agricoltura a un leghista. Saranno leghisti gli assessori all’Agricoltura di tutt’e tre le regioni settentrionali, Lombardia, Veneto e Piemonte. La Lega non cederà nemmeno il sottosegretario governativo, perché Bossi considera allevatori e coltivatori gente sua. Quando Fini dice che nella coalizione la Lega è forte, non ha torto. Quando Bossi dice che, se farà i gruppi, si andrà al voto, non ha torto nemmeno lui. Evidentemente, per evitare di farsi rosolare per tre anni a fuoco lento, i parlamentari del Pdl sono persino pronti, se del caso, alle dimissioni di massa. Un modo, mai usato in precedenza, per forzare la mano al Capo dello Stato. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/4/2010]
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