Marco Alfieri, Il Sole-24 Ore 17/4/2010;, 17 aprile 2010
AI FINIANI SOPRA IL PO LO SCISMA FA PAURA - E
se lo facesse davvero? «Non lo seguirei. Sono stato eletto nel Pdl, non potrei tradire l’elettorato?».
Alla fine, dunque, nemmeno Marco Zacchera, il sindaco/onorevole di Verbania, l’Asterix pidiellino nella Gallia verde di Roberto Cota dato dai giornali rigorosamente in quota Fini, si accoderebbe al suo presidente. «Gruppi separati mai», giura il parlamentare del lago Maggiore. Pur senza occultare i problemi enormi post fusione che si trascina dietro il Pdl. «E poi la Lega difende interessi territoriali circoscritti, noi invece siamo un partito nazionale ». Proprio per questo, attacca Zacchera, ci vuole « il coraggio di un federalismo fiscale rigoroso, senza cedimenti in casa nostra, penso alle finanze allegre di Catania o Palermo. Altrimenti...».
Insomma tolti Roberto Menia e Adolfo Urso, forse Maurizio Saia in Veneto, di finiani disposti ad immolarsi per il capo nelle ore calde del derby tra fondatori, sopra il Po se ne vedono pochini. Sempre in Piemonte, dei tre ex An entrati in giunta regionale (Bonino, Casoni e Ravelli), nessunoè un purista finiano. «Nelle terre del forzaleghismo il presidente di Montecitorio è antropologicamente residuale», malignano dal Pdl di Varese, sponda ex Fi. Quanto al partito, «abbiamo smarrito la rotta in coincidenza della crisi peggiore degli ultimi cinquant’anni, specie per il nostro sistema di piccola impresa», raddoppia il bresciano ex An Stefano Saglia. «La Lega, invece, si è accreditata come l’unico argine a difesa di un senso comune che ha paura del futuro » e vuol proteggere la «roba» dall’invasione, cinese o islamica che sia. Un esempio? «La legge sul made in Italy firmata Marco Reguzzoni», continua Saglia. Fini, nel frattempo, «scegliendo di fare il presidente della Camera, ci ha reso orfani di una leadership politica». Anche Berlusconi, però, «ha dato la sensazione di accogliere solo e sempre le richieste leghiste, un po’ meno lenostre.Dopodiché – conclude – non vedo il bisogno di fare gruppi separati». Morale: nemmeno Saglia seguirebbe il suo presidente.
Non si tratta solo di convenienza. Secondo il politologo dell’università di Trieste, Paolo Feltrin, i flussi dell’ultimo triennio elettorale dimostrano che proprio al Nord 7 elettori ex An su 10 sono passati al Carroccio.Un’erosione spaventosa figlia di una vera «faglia strutturale, perché non era scritto da nessuna parte che la fusione fredda nel Pdl producesse una tale emorragia».
Per Feltrin da un lato c’è «la linea Tremonti, condivisa da Berlusconi, che considera il centrodestra un grande rassemblement
esaustivo di tutte le posizioni, vista la debolezza dell’opposizione ». Questo presuppone un partito del Nord che tratta da posizioni egemoniche con la destra meridionale. «Per Tremonti è l’unico modo di rilanciare quel sud sempre decisivo nelle elezioni della Seconda Repubblica ma oggi non più, talmente forte è il divario tra le due coalizioni». Dall’altro,prosegue lo studioso, «c’è l’idea finiana di un grande partito moderato nazionale che poi tratta con la Lega, forza di territorio». Se dunque la frattura nord-sud è il vero discrimine, non stupisce nemmeno che le riserve elettorali aennine, quel po’ di radicalismo urbano di destra uscito fuori dalla diaspora post Dc (a Verona a Vicenza o Mi-lano), si stiano esaurendo.
«L’elettorato di destra che il partito presidiava al Nord era a forte trazione statalista», nota l’onorevole vicentino ex An Maurizio Castro. «Una tradizione che ha risposto alla sfida leghista del territorio non con una rinnovata cultura comunitaria ma con riflessi burocratico-prefettizi, quasi scelbiani. Lasciando praterie intere al populismo verde sui temi tipici della questione settentrionale e della sicurezza ». Nel frattempo, negli anni di Galan in Veneto o di Ghigo in Piemonte, il Pdl virava verso una «tecnocrazia elitaria, liberal/liberista,poco valorialesul lato dell’identificazione elettorale ». In Laguna sotto il vestito del vecchio Doge, per intendersi, «c’era l’anarchia litigiosa delle correnti», confessa un consigliere regionale ex Forza Italia: «sacconiani contro galaniani e oggi, sponda ex An, la fazione forte dei matteoliani pro Berlusconi (il coordinatore regionale Alberto Giorgetti, i consiglieri Cortellazzo e Teso e l’assessore Isi Coppo-la), la gasparrian/larussiana Elena Donazzan e, appunto, l’alemanniano Castro». In sostanza il partito al nord ha tenuto laddove pre-esisteva un ancoraggio comunitario forte (soprattutto in Lombardia con la macchina Cl/Cdo). Altrimenti il diluvio, soprattutto sull’ala destra finita ad ingrossare il Carroccio.
Già ma come ripartire? «Indietro non si torna», si scalda Vittorio Pesato, pavese, ex leader della destra giovanile attualmente dirigente nazionale del Pdl. La provincia di Pavia (insieme a Sondrio) è il territorio lombardo dove il Carroccio è cresciuto di più sul voto 2009. «Abbiamo perso consensi sull’immigrazione e i temi tipici dell’impresa di territorio», ragiona Pesato, simpatizzante di Larussa, uomo forte della destra sotto il Duomo. «Inviterei dunque a concentrarsi più sui contenuti che sulle rendite di posizione». Poi, naturalmente, se Fini dice che «bisogna rafforzare il partito mi trova d’accordo.Ma la soluzione ”conclude Pesato – non sono certo i gruppi separati...».