Annachiara Sacchi, Corriere della Sera 17/04/2010, 17 aprile 2010
QI QUANDO DIVENTA UN BOOMERANG COSA ACCADE ALLE SOCIETA’ CHE NON SANNO RICONOSCERE IL TALENTO
In classe si annoiano. comprensibile: se sanno già leggere, si aspettano di farlo, non di ripartire da zero. Hanno un forte senso della giustizia, preferiscono lavorare da soli, amano stare con i ragazzi più grandi. Hanno una sensibilità straordinaria. E un’intelligenza fuori dal comune. Sono i bambini intellettualmente iperdotati. In Inghilterra li chiamano gifted, coloro che hanno un dono. E che troppo spesso non sanno come usarlo.
Piccoli Einstein dalle potenzialità nascoste, spesso per sempre. Per-ché è meglio distinguere. Dono è la capacità. Talento è la sua realizzazione. E non sempre il rapporto è consequenziale. Lo spiega la psichiatra Federica Mormando, fondatrice di Eurotalent, associazione che dal 1984 lavora per il riconoscimento e il sostegno delle persone particolarmente intelligenti: «Il sistema scolastico italiano è sprovvisto di programmi emetodi per fare emergere gli alunni ad alto potenziale intellettivo». Anzi, «può capitare che l’eccellenza sia confusa con una patologia come l’iperattivismo o l’incapacità di creare buone relazioni».
Doni inespressi. Sono circa il 3 per cento del totale i bambini con un Q.I. che va da 130 (soglia minima per definire i piccoli geni secondo la scala Wisc) in su. Non necessariamente si tratta di enfant prodige. Anzi. Spesso si sentono inadeguati e crescono con «un enorme senso di inferiorità». E sì che il consiglio d’Europa ricorda che «i minori intellettualmente dotati dovrebbero beneficiare di condizioni di insegnamento appropriate che permettano di valorizzare le loro possibilità». Regole chiare «che da noi non hanno seguito», continua Federica Mormando, che sul tema del talento rappresenta l’Italia in Europa (oltre a insegnare all’Università di Bressanone e ad aver fondato negli anni Ottanta la scuola «Emilio Trabucchi» per alunni dall’intelligenza eccezionale, chiusa per problemi economici nel 1993).
Basta fare un confronto. In Belgio, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo, l’attenzione per i piccoli geni cresce di anno in anno. In Inghilterra, le gifted and talented strategies (le strategie per gli iperdotati, che Oltremanica raggiungono la quota di 800 mila) sono bene in vista sul sito del ministero dell’Istruzione. Anche in Italia qualcosa si muove. Da tre anni l’università di Bergamo (con il Centro per la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento diretto da Giuseppe Bertagna) organizza seminari sul tema. «Perfino psichiatri e psicologi non hanno un’esperienza specifica», continua la Mormando.
Formare maestre e prof, ecco il primo passo. Giuseppe Bertagna, che con la riforma Moratti tentò di inserire nella scuola statale il concetto di percorso individuale, sospira: «Avevamo un obiettivo: far emergere i talenti di ognuno. Ma il cambiamento, purtroppo, non c’è stato».
Una mancata rivoluzione. Bertagna continua: « insensato voler insegnare a tutti con lo stesso ritmo». Anche due leggi dello Stato (del 1999 e del 2003) prevedono l’organizzazione dei percorsi scolastici per classi non omogenee. «Ma non sono state applicate». E adesso bisogna recuperare il tempo perduto: «Se i docenti del 2020 non saranno in grado di gestire i ragazzi in un modo più versatile, nelle classi si creeranno forti tensioni. La scuola deve diventare il luogo in cui si costruiscono le relazioni valorizzando le diversità».
Potrebbe essere un’emergenza nazionale. Già oggi il 50 per cento dei sedicenni italiani è stato bocciato o ha avuto problemi di abbandono scolastico o raggiunge a malapena la sufficienza. «Un dato gravissimo’ commenta Bertagna’ soprattutto in un Paese in cui i giovani sono la materia più carente. Non possiamo permetterci di perdere neanche un talento».
Annachiara Sacchi