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 2010  aprile 17 Sabato calendario

IL GRATTACIELO VAL BENE UNA LITE

«Il dibattito è essenziale. Devo molto a chi ha contestato i miei progetti, anche in modo aspro. Le critiche al grattacielo San Paolo di Torino mi hanno aiutato a migliorarlo. La consultazione è necessaria per capire i grandi progetti». Nello studio di Parigi, Renzo Piano accoglie la notizia dell’ok dell’amministrazione comunale torinese e si capisce che «spiegare» il progetto, gli sta a cuore tanto quanto «costruire».
Architetto, il suo grattacielo ha diviso la città. Non le sono state risparmiate critiche. E’ sicuro di essere favorevole al dibattito?
«Ricordo cosa mi disse Bobbio, un grande torinese di cui sentiamo la mancanza: ”C’è di meglio che passare la vita a persuadere gli altri”. Il dibattito è essenziale, a patto che non sia per imporre idee, ma per capire cosa è giusto fare».
Consultare i cittadini, ma poi la parola finale spetta agli amministratori e ai costruttori…
«Le critiche aiutano a far sì che l’elemento economico si concili con quello sociale».
Come?
«A Londra stiamo realizzando un grattacielo di trecento metri in pieno centro. Tony Blair pretese che la decisione la prendesse un giudice indipendente che aveva ascoltato l’architetto, i costruttori e anche i critici, come il principe Carlo. Il giudice, poi, approvò il progetto con un decalogo per i costruttori».
In Italia si può pensare a un referendum?
«Il referendum non mi pare possibile. Non si può fare architettura come in un programma televisivo, dando retta agli indici di ascolto. L’architetto non deve soltanto cercare consenso. Molti progetti dapprima avversati si sono rivelati straordinari».
Ma è davvero indispensabile che le nostre città si debbano sviluppare in altezza?
«La costruzione dei grattacieli è accompagnata da mille pregiudizi. Spesso giusti. I grattacieli sono edifici alti, egoistici, concepiti come simbolo di potere e per fare quattrini. Talvolta sono inaccessibili, escludono i cittadini».
E lei a Torino ne realizzerà uno…
«La sfida è un edificio che restituisca ciò che toglie: spazio, luce, panorama».
Come potrà restituire tutto ciò, la torre San Paolo?
«Con facciate di cristallo: la città ritroverà se stessa e rifletterà i colori, l’ambiente, la luce, l’atmosfera. Ecco, sarà un grattacielo ”atmosferico”. Ma ci sono anche cose molto più concrete: nei primi sei piani, oltre all’atrio, c’è un auditorium da 400 posti che dovrà diventare un luogo di ritrovo per i torinesi. Ancora: sulla cima ci saranno tre piani con una serra, una sala per le mostre d’arte, un ristorante, un belvedere aperto a tutti. Insomma, spazi che sono e dovranno restare pubblici. Destinati a Torino. Questo è l’impegno che dobbiamo prenderci».
Era necessaria quell’altezza in una città orizzontale?
«Meglio le periferie sconfinate? Un edificio alto permette di sfruttare al meglio gli spazi. Porta attività anche nelle zone centrali lasciando aree a disposizione degli abitanti».
Restano i dubbi: cambia il paesaggio e, alla base, la città rischia di desertificarsi…
«I costruttori recupereranno un parco che, oggi, è morto. La gente potrà attraversare l’edificio, entrarci».
Dove le critiche hanno cambiato il progetto?
«Nell’altezza: sono 166 metri, uno meno della Mole per rispettare il simbolo della città. E nella cura all’ambiente: per il riscaldamento si consumerà un quinto dell’energia necessaria per normali palazzi per uffici».
Come sarà possibile?
«Grazie all’energia geotermica che attinge a falde sotterranee. Il grattacielo sarà avvolto da una seconda pelle, un’intercapedine di vetro che si apre d’estate per lasciar circolare l’aria e si chiude d’inverno per non disperdere il calore. Ci sono pannelli fotovoltaici che coprono intere facciate. E per l’illuminazione ci sarà un computer che accenderà le luci solo quando calerà la luminosità esterna».
Ma non valuta l’impatto sul traffico. Attorno al grattacielo graviteranno migliaia di persone...
«Siamo a due passi dalla ferrovia e dalla metropolitana. Certo, il sogno è fare come a Londra, dove il grattacielo di Tower Bridge è "seduto" su uno snodo di ferrovia e metropolitana».
C’è chi teme che la banca emigrerà a Milano e qui resteranno appartamenti…
«Non è possibile. L’edificio è costruito per ospitare uffici».
Cosa promettete alla città prima di partire con i lavori?
«Che sarà un struttura in gran parte pubblica, sempre aperta ai torinesi».