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 2010  aprile 17 Sabato calendario

«FASE ESPLOSIVA PER QUALCHE GIORNO»

Thorvaldur Thordarson aveva sei anni, quando ha assistito alla sua prima eruzione vulcanica. «Mio padre mi teneva per mano – racconta – e da lontano ho visto il mare che ribolliva di lava». Era il 1963, anno di nascita di Surtsey, l’isola vulcanica apparsa dal nulla al largo dell’Islanda.A sua volta vomitata dal ventre dell’Atlantico, una ventina di milioni di anni prima. Più per fatalità che per passione, Thordarson è diventato un vulcanologo. «Mi sono trovato per caso a dover studiare la storica eruzione di Laki del 1783, mi sono appassionato e alla fine i vulcani sono diventati la mia vita ». Oggi ha lasciato la natìa Islanda, per un incarico da ricercatore all’Università di Edimburgo. Il complesso sottosuolo islandese resta il pane per i suoi denti. Ma quando si parla di Laki, è il massimo esperto al mondo. Ovvero un esperto di
worst case scenario vulcanici.
«Laki fu un disastro immane »,spiega.«La maestosa esplosione lanciò nell’aria una quantità immensa di anidride solforosa che si sparse sui cieli dell’Europa e dell’America, provocando piogge acide e un inquinamento senza precedenti. Senza contare il rimarchevole e prolungato abbassamento della temperatura», per la proprietà dello zolfo di riflettere la radiazione solare. Quasi un effettoserra alla rovescia, con il conseguente global
cooling.
Il guaio è che, fatalmente, un giorno succederà di nuovo.«Potrebbe essere l’anno prossimo o fra cent’anni»,perché la capacità di fare previsioni elude i vulcanologi quanto i sismologi. «Ma succederà. Ovviamente non lungo la vecchia frattura di Laki, che era un vulcano monogenetico: in altre parole, una lunga e stretta fessura che, nel raffreddarsi, si ricuce. Ma potrebbe succedere di nuovo, soltanto 50 metri più in là. E quando accadrà, sarà un altro Big One. Il traffico aereo non si fermerà per cinque giorni, ma per cinque mesi. Con conseguenze economiche catastrofiche». anche uno scenario inedito per il genere umano: nel 1783 non c’erano aeroplani in giro.
A questo punto, è bene dire che Laki non offre attualmente alcun motivo di preoccupazione.
«E neppure Katla», si affretta a rassicurare Thordarson. Katla è un vulcano vicino a Eyjafjallajökull (quello oggi in attività) ma con una sinistra storia in comune: le ultime tre volte che Eyjafjallajökull ha eruttato, l’altro ha fatto seguito. Sono vulcani poligenetici. Ovvero quelli che non la smettono mai.
«I cicli vulcanici islandesi sono di circa 100 anni (con un minimo di 80 e un massimo di 220). Di solito abbiamo avuto periodi di 40-60 anni di moderata attività, seguiti da fasi più violente. E nell’ultima metà del Novecento, l’attività è stata molto bassa».
C’è poco da fare. Questa terra lontana e fascinosa, colonizzata dai vichinghi intorno all’anno 900, siede sopra una pentola in costante ebollizione, proprio nel punto in cui la Placca eurasiatica si scontra con quella nordamericana. E con la Dorsale medioatlantica (la catena montuosa sottomarina che attraversa l’Atlantico) che passa a pochi chilometri a est di Reykjavik.
Thor Thordarson aveva undici anni quando ha appoggiato per la prima volta i piedi sulla lava. «Ero con mio cugino, eravamo prudenti ma non spaventati. La mia gente non ha paura dei vulcani, c’è abituata e porta loro rispetto». Nel 1783, ai tempi di Laki, il 20% della popolazione morì, perlopiù di fame. «Ci vollero mesi, prima che la lettera con la richiesta alla Danimarca arrivasse a destinazione», spiega. «Oggi abbiamo adeguati piani di evacuazione e tutte le moderne tecnologie » .
Dunque cosa accadrà? Cosa prevede un esperto di vulcani islandesi senza sfere di cristallo? «Per adesso – risponde Thordarson – Eyjafjallajökull erutta senza posa. Ci sono stati terremoti, a conferma che le cose si stanno ancora muovendo. La fase esplosiva continuerà ancora pochi giorni poi il vulcano si tranquillizzerà e riprenderà di nuovo a eruttare, in un ciclo di stop-and-go che andrà avanti per un anno. O forse un anno e mezzo».
E poi? «Beh, non resterei sorpreso se un altro vulcano entrasse in attività nel futuro prossimo». Ma non ditelo alle compagnie aeree.