GIUSEPPE CULICCHIA, Tuttolibri-La Stampa 17/4/2010, pagina I, 17 aprile 2010
MARK TWAIN PROFETA D’AMERICA
In America c’è un autore di libri per ragazzi che si è permesso di fare dell’ironia in merito alle origini cristiane degli Stati Uniti. «Anche l’Inferno ha origini cristiane», ha detto, rimarcando poi come il paradosso del Paradiso consista nel fatto che quest’ultimo non contempli la più grande delle delizie terrene, il sesso: «E’ come se dopo essersi perduto in un deserto infuocato, uno mezzo morto di sete si senta dire da chi lo soccorre: puoi avere qualsiasi cosa desideri, tranne l’acqua».
Questo stesso scrittore ha anche affrontato la questione dell’uso della tortura da parte di un Paese che da sempre si autodefinisce civile, salvo poi venire smentito dalle fotografie che testimoniano il trattamento riservato dalle sue truppe ai prigionieri. E ha denunciato ben prima di Amnesty International e in modo esplicito l’uso del «water-boarding» o affogamento simulato nel corso degli interrogatori. «Che cosa confessa così un prigioniero? La verità? O bugie? Chi può dire che cosa racconta? Se sottoposto a un dolore insopportabile, un uomo confessa qualsiasi cosa».
Nato nel profondo Sud, l’autore in questione non si è tirato indietro neppure di fronte alla questione razziale. Per dire: pur essendo un bianco, nei suoi libri usa senza remore di sorta la parola «negro», perché questa parola viene adoperata normalmente nella vita di tutti i giorni, e dal suo punto di vista mettere in bocca qualcos’altro ai personaggi dei suoi romanzi non avrebbe davvero senso. Proprio per questo motivo, tuttavia, molte biblioteche hanno infine deciso di non tenere in catalogo alcune sue opere, perché in base al loro metro di giudizio queste sono, non da oggi, «politicamente scorrette».
L’autore, che si chiama Samuel Langhorne Clemens, a sua difesa non può certo ribattere di avere votato per Obama, ammesso che voglia davvero difendersi da simili sciocchezze: è morto infatti giusto cent’anni fa, il 21 aprile 1910, in concomitanza con il passaggio della cometa di Halley, la stessa che l’aveva portato sulla Terra nel 1835.
Non poteva certo immaginare che un giorno gli Stati Uniti avrebbero avuto per presidente un «negro». E nemmeno che nel proclamare una guerra mediorientale combattuta per esportare la democrazia in cambio di petrolio i medesimi potessero fare appello alle famose «origini cristiane». E neppure che nel Duemila e rotti gli stessi alfieri della democrazia usassero metodi assai simili a quelli adottati più di un secolo prima dall’esercito del Belgio colonialista di Leopoldo I in Congo. E neanche che i soldati con la bandiera a stelle e striscie cucita sulla manica dell’uniforme praticassero ancora oggi negli interrogatori le medesime tecniche usate dai loro colleghi nei confronti dei ribelli filippini nell’ormai lontano 1902, anno in cui andava gà di moda la «water-torture».
Ma soprattutto, non si sarebbe mai sognato che un giorno, in un luogo chiamato Disneyland, un battello a vapore avrebbe portato il nome che lui aveva adottato in veste di scrittore, Mark Twain. Nome che si era scelto in omaggio al grido «Mark, twain!», comune tra i marinai imbarcati sui natanti che solcavano il Mississippi per indicare in tese la profondità delle acque durante la navigazione: «Dal segno, due!». Del resto, su quel fiume aveva fatto il marinaio anche lui.
Di Mark Twain un altro sudista ingombrante, William Faulkner, disse senza esitazioni che era stato «il primo vero scrittore americano». Quanto a Ernest Hemingway, uno che certo non era molto tenero nei confronti dei colleghi, in Verdi colline d’Africa scrisse: «Tutta la letteratura americana moderna viene da un libro di Mark Twain intitolato Huckleberry Finn. Tutta la narrativa americana deriva da lì… Non c’era niente prima. Non c’è stato niente di altrettanto buono dopo».
Ecco: malgrado il «politicamente corretto» di cui sopra cerchi da tempo di ridimensionare anche il vecchio Papa a causa del machismo e delle corride e dei safari eccetera, il suo giudizio su Mark Twain a cent’anni dalla scomparsa pare ancora attuale.
Che cosa c’è stato di meglio rispetto a Le avventure di Huckleberry Finn? Quale altro romanzo ha saputo raccontare con maggiore felicità narrativa il perdurante mito della Frontiera oggi impersonato da un pronipote dello schiavo Jim? Quale altro autore ha saputo innovare in modo altrettanto radicale l’immaginario di un Paese e la sua letteratura, se pensiamo per esempio che durante il viaggio lungo il corso del Mississippi di Huck Finn e compagni ci s’imbatte in decine di gerghi diversi, da quello parlato dai marinai a quello usato dagli schiavi, passando per quelli di banditi, mandriani, giocatori d’azzardo, imbonitori, borghesi...
Come ha fatto fa notare qualche anno fa uno dei suoi tanti biografi, Ron Powers, Mark Twain, il padre di Huck Finn e di Tom Sawyer e di Il principe e il povero, ma anche di testi sulla religione e sull’imperialismo e sulla scienza, lo scrittore che tra le altre cose anticipa una certa fantascienza in Un americano alla corte di Re Artù, l’autore «per ragazzi» che tale non era, è stato a tutti gli effetti anche la prima rock-star americana, con le sue celebri tournée che all’indomani della guerra civile (da lui combattuta con i sudisti, prima di darsi alla macchia come avrebbe fatto il più famoso dei suoi eroi) lo portarono dapprima a viaggiare da un teatro all’altro in lungo e in largo per il suo Paese, dove si fece conoscere come conferenziere brillante dalle straordinarie doti umoristiche, e poi, complici i rovesci finanziari dovuti anche all’idea di fondare una propria casa editrice, a riempire altri teatri in giro per il mondo. Fosse in circolazione oggi, che cosa non leggeremmo sulla sua pagina su Twitter!
Sia come sia: in un mondo assai diverso da quello attuale, il mondo di qualche era geologica fa, per semplificare il mondo di prima della tivù commerciale e della Playstation, Mark Twain, autore «per ragazzi», veniva regalato in quanto tale più o meno a chiunque avesse imparato a leggere. Si trattava di un errore in buona fede. Che, se non altro, ha contribuito a farcelo amare.