Alessandro Penati, La Repubblica 17/4/2010, 17 aprile 2010
L’ALANO GENERALI E IL BIMBO MEDIOBANCA
Sono tornati in auge i rumors sulle possibili evoluzioni del rapporto tra Mediobanca e Generali. Se ne parla da vent’anni, ma il cambio di presidenza è sempre una buona occasione per rinverdire il dibattito. Come sette anni fa, quando Vincenzo Maranghi fu detronizzato proprio per la questione presidenza e controllo di Generali.
Tre gli scenari: tutto rimane com’è; fusione; o separazione. Pro e contro dello status quo sono noti. Mediobanca ha scarsa capacità di raccolta (attività totali per 61 miliardi: per una banca europea, sono dimensioni da bassa classifica), ma può indirizzare le ingenti risorse di Generali, che di fatto controlla con il 14%, per portare a termine operazioni altrimenti fuori portata. Tempo fa ho paragonato il duo a un bambino (Mediobanca), che portando a spasso un gigantesco alano, ottiene il rispetto e la considerazione altrui. Lo svantaggio per Mediobanca è che in questo modo penalizza il proprio titolo. Tenendo immobilizzata in Generali una fetta consistente del patrimonio, Mediobanca viene considerata dal mercato come una specie di holding (fare il socio stabile di un’assicurazione e il banchiere di investimento sono cose molto diverse), e paga il relativo sconto. Lo svantaggio per Generali è che le esigenze di controllo di Mediobanca limitano la sua capacità di crescita e l’efficienza dei suoi investimenti. Anche per questo, sono 15 anni che il titolo Generali, pur con ampie oscillazioni, fa costantemente peggio del mercato in generale: oltre il 50% in meno sia dell’indice italiano che europeo. E sono anni che gli investitori comprano Generali perché appare sottovalutata. In questo modo, l’andamento di Generali finisce per penalizzare anche il titolo Mediobanca. Ma tutti gli svantaggi dello status quo penalizzano solo gli azionisti di minoranza delle due società, che non contano molto. Dunque, lo status quo rimane l’ipotesi più plausibile.
Un’alternativa è la fusione. Agli azionisti di Mediobanca vengono dati titoli Generali. Quelli del patto di sindacato, ai prezzi di mercato, otterrebbero poco più del 9% dell’assicurazione, che unito al 10% circa degli altri soci rilevanti già presenti, potrebbero garantirne l’italianità, conditio sine qua non. Generali si ritroverebbe con il 14% di azioni proprie, da ricollocare o eliminare. Tutte le attività bancarie e di capital markets (con relativi debiti) verrebbero accorpate con quelle di Banca Generali, quotata. La nuova Mediobanca sarebbe focalizzata su tutte le attività caratteristiche di banca (di investimento e commerciale), e si espanderebbe nell’asset management. Il nuovo gruppo non avrebbe i problemi di convivenza tra reti di distribuzione che hanno messo in crisi molti casi di banca-assicurazione; Mediobanca guadagnerebbe in focalizzazione; Generali valorizzerebbe la propria partecipazione in Mediobanca; e si guadagnerebbe in semplificazione. Ci sono margini quindi perché una fusione crei valore, anche se non sono enormi. Ma il patto di sindacato in Mediobanca perderebbero potere, diluiti in Generali: l’alano comincerebbe a trascinare a zonzo il bambino, e addio timore riverenziale.
Infine, la separazione. Se fatta con una holding che detiene le partecipazioni sarebbe inefficiente: quella in Generali assorbirebbe metà del patrimonio attuale di Mediobanca. Se invece si volesse conferire alla holding anche parte dei debiti, si aprirebbe un contenzioso coi creditori. Meglio distribuire le azioni Generali direttamente ai soci Mediobanca. Quelli del sindacato continuerebbero a governare la banca e, come nella fusione, unirebbero le forze con gli italiani già in Generali per assicurarne il controllo. Il principale vantaggio sarebbe l’indipendenza reciproca che eliminerebbe le penalizzazioni in borsa e i vincoli alla crescita. Ma il bambino perderebbe l’alano e Mediobanca i benefici del controllo di Generali. Benefici che il mercato non valorizza, ma patto di sindacato e manager sì. Se fossi un bookmaker, la darei 18 a 1.