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 2010  aprile 17 Sabato calendario

GARIBALDI, EROE IN GABBIA IN UN’ITALIA SPENTA

Ode al «Duce qui effigiato / Duce nato sullo scoglio / scoglio-nato», ammiccava negli anni Venti sua eccellenza il senatore Paolo Emilio Bensa, gran giureconsulto e docente universitario, rimirando il monumento a Garibaldi e ai Mille di Quarto. Uno schizzo. Solo un piccolo e innocente schizzo d’ironia. Meno offensivo, per quella poderosa opera di Eugenio Baroni, dei chili e chili di cacca schizzati per decenni sulla scultura dai piccioni nell’incuria di ogni addetto alla manutenzione. Ma soprattutto molto meno insultante del disinteresse dimostrato per troppo tempo da Roma, dal governo, dalle autorità di quel paese che fu unito da quei ragazzi arrivati da tutte le contrade del Paese per imbarcarsi 150 anni fa proprio da qui. Da questi scogli sulla costa a levante del centro di Genova.
Manca solo una manciata di giorni alla ricorrenza del 5 maggio, quando il capo dello Stato verrà qui ad aprire il ciclo di manifestazioni del Centocinquantenario. Eppure il monumento ai Mille è ancora infagottato dentro una gabbia di tubi innocenti, reti metalliche, teloni verdi… Ieri mattina ci è andata anche il sindaco, Marta Vincenzi. «Sarà pronto per allora?», le hanno chiesto. «Speriamo». Gli operai della ditta di Giovanni e Lorenzo Morigi di Bologna, specializzati nel restauro di metalli, stanno lavorando a ritmi forsennati. Li hanno chiamati all’ultimo istante. Praticamente prima ancora di definire la questione contrattualmente nei dettagli: «Una faticaccia. Il mare, la salsedine, i colombi... Non hai idea in che condizioni fosse».
L’architetto Annalaura Spalla, che segue le cose per conto del comitato per le celebrazioni, professa ottimismo: «Non si trattava solo di restaurare il gruppo bronzeo ma di sistemare tutta l’area. stato abbattuto un baretto dove si ritrovavano i giovani che sarà ricostruito con più qualità, sono stati ridisegnati gli spazi, da lunedì cominceremo a scaricare in mare dei nuovi scogli… Mi hanno detto: non si vede dove avete lavorato. Ho risposto: questo è un complimento. un lavoro a togliere, più che ad aggiungere». Auguri. Certo è che il Centocinquantenario sembra avere colto di sorpresa gli organizzatori come certe mogli che vedono spalancarsi la porta mentre stanno in dolce compagnia: «Ops! Mio marito!» Ops! L’anniversario! Al punto che, pur potendo essere programmato con calma, è stato fatto tutto, come sempre, all’ultimo momento. Con la solita delega (ti pareva) alla Protezione civile di Guido Bertolaso come se un anniversario immutabilmente fissato sul calendario da decenni fosse inaspettato e sorprendente quanto un’onda anomala.
Dice tutto, il monumento di Quarto. Tutto. il simbolo stesso di come un po’ di persone di buona volontà al servizio dello Stato siano ripetutamente chiamate a tappare le falle lasciate dall’incapacità, dall’ignoranza, dalla sciatteria. Basti dire che a causa di questa sciatteria neppure il prossimo 5maggio («Ci hanno dato il lavoro troppo tardi: consegneremo ad agosto»), nonostante le rassicurazioni, il monumento sarà corredato finalmente dai nomi dei garibaldini che parteciparono alla spedizione. Un gesto di rispetto doveroso verso chi diede tutto se stesso perché credeva in questa patria. Tanto più verso i morti. Come il bergamasco Gaspare Tibelli, che era poco più che un ragazzino pieno di sogni e venne ammazzato nella battaglia di Calatafimi dieci giorni esatti dopo essere salpato, il 15 maggio 1860, nel giorno in cui compiva 18 anni.
 da un secolo che Gaspare e gli altri ragazzi morti, sopravvissuti o impazziti in guerra e reclusi in giro per i manicomi aspettano che venga inciso il loro nome sulla base del monumento ai Mille. Fin da quando questo fu commissionato nel 1907 perché fosse pronto per il Cinquantenario nel 1910. Macché: i soliti ritardi, appuntamento saltato, nuova gara nel 1909. Vincitore: Eugenio Baroni. Che a quel punto, visto che sul bando c’era scritto che il contratto doveva essere firmato entro 30 giorni, cominciò a tempestare le autorità. Una lettera dietro l’altra: «in attesa che la signoria vostra illustrissima voglia comunicarmi l’invito per la stipulazione del contratto...», «il sottoscritto in data 19 maggio scriveva all’ ill.mo signor sindaco mettendosi a disposizione per la stipulazione del contratto…». «Il sottoscritto in data 19 maggio e 15 luglio scriveva alla civica amministrazione…». E via così, per mesi e mesi, senza che un cane, a leggere la biografia dello scultore di Sergio Paglieri, lo degnasse di risposta. Morale: invece d’essere pronto per il Cinquantenario, scolpito nel marmo di Carrara e con tutti i nomi dei Mille incisi alla base (una spesa pazzesca, già all’ epoca) il monumento venne piazzato accanto allo scoglio fatale con cinque anni di ritardo, in bronzo e senza nomi.
L’inaugurazione, però, fu un evento epocale. Il re Vittorio Emanuele III, il capo del governo Antonio Salandra e tutti i ministri diedero buca perché tirava aria di guerra. Ma bastò la presenza di Gabriele d’Annunzio per dare all’avvenimento un risalto enorme. Era in forma spettacolare, quel giorno, il Vate. Esordì tuonando: «Maestà del Re d’Italia, assente e presente! Popolo grande di Genova! Corpo del risorto San Giorgio!» Quindi si avvitò in una giostra vertiginosa di citazioni dei Gemelli di Sparta eMichelangelo, Teseo e i figli d’Aimone. E pur lasciando basiti un po’ di spettatori con frasi tipo «non corbe di metallo bruto v’erano issate in sommo», si impossessò dell’anima di Garibaldi dicendo che Egli, il Duce, avrebbe incitato: «Tutto ciò che siete, tutto ciò che avete, e voi datelo alla fiammeggiante Italia!». Al che tutti capirono, dicono le cronache. E gridarono pazzi di patriottismo: «Viva Trento e Trieste! Viva la guerra!»
Questo è Quarto: un luogo di passaggio centrale della nostra storia. Eppure, come ha ricostruito Daniele Grillo su Il Secolo XIX, dare una sistemata al monumento è stato un calvario: «Nel 2000 il Cnr e l’Istituto centrale del restauro decisero di sottoporre il manufatto a un restauro che diventasse modello su scala nazionale per il recupero delle opere in bronzo vicine al mare. L’iniziativa fu sancita da un convegno, nel 2004 a Tursi, una mostra e un catalogo. Nel 2007 il monumento dei Mille venne circondato dalle impalcature. Si spesero i primi 80 mila euro per il restauro della figura di Garibaldi. A fine 2007 venne comunicato che il finanziamento promesso dal comitato nazionale per il Bicentenario della nascita di Garibaldi non era più disponibile. Ma la (ex) direttrice regionale della Soprintendenza, Liliana Pittarello, riuscì a ottenere i 200 mila euro necessari dal Ministero. Subito dopo le elezioni del 2008 il Ministero revocò il finanziamento». A quel punto il sindaco prese carta e penna invitando Sandro Bondi a ripensarci: « uno scandalo». Tanto più che cominciò lagnarsi col quotidiano locale perfino la ditta che aveva sponsorizzato il cantiere: «La gente crede che siamo noi a fare i lavori e ci chiede: ma quando diavolo finite?» C’è da capire: in 1263 giorni i cinesi hanno costruito il fantastico ponte di Donghai: 32 chilometri, 8 corsie, in mezzo al mare. Va da sé che il 29 marzo scorso, alla ripresa del restauro, avvenuto soprattutto per le pressioni di Giorgio Napolitano e del suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Comitato dei garanti per le celebrazioni, è uscita sul Secolo una notiziola indicativa. «Niente sponsor per il monumento di Quarto, che pure è tra i simboli ufficialmente riconosciuti dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Nessuna azienda ha risposto al bando del Comune per la ricerca di privati disposti a contribuire al restauro dell’opera e dell’area circostante».
L’assessore alla Cultura Andrea Ranieri ha fatto spallucce: «Boh, le gare per le sponsorizzazioni vanno sempre deserte…». Fatto sta che nel pantano hanno intinto il biscotto, ironizzando sul nostro patriottismo, perfino i nostri nemici di allora, gli austriaci. Che in un articolo di Gerhard Mumelter su Der Standard hanno sottolineato come, mentre il Paese si prepara svogliatamente alla ricorrenza, un anonimo abbia pubblicato un thriller politico dove si immagina nel febbraio 2011, scadenza dei 150 anni dello Stato unitario, da parte del governatore leghista Luca Zaia, la proclamazione della «Nazion Veneta». Per non dire delle citazioni della «Padania» («Unità d’Italia? Che ci sarà mai da festeggiare?») secondo la quale la nascita dello Stato unitario fu «un atto contro la natura e la storia, un relitto storico da rifondare attraverso il federalismo». O della performance dell’europarlamentare Matteo Salvini, filmato a Pontida mentre intonava con le camice verdi un simpatico coretto sui «napoletani colerosi e terremotati».
Il tema posto dal giornale austriaco è: un Paese che elegge governatore del Piemonte, la regione fondante, quel Roberto Cota che meno di 3 anni fa partecipò a un blitz leghista in Parlamento contro l’Eroe dei due mondi bollato come «un criminale che seminava morte e distruzione», e che ora si ritrova addirittura alla presidenza del Comitato Italia 150 di Torino, da quasi cinque anni impegnato a preparare (suo malgrado autonomamente) le celebrazioni, crede ancora nella propria storia o no? Se è questa
l’Italia che si appresta a tagliare il traguardo dei 150 anni, non si fatica a immaginare che tutto si risolva con «una passata di sidol» alle statue, come ironizza un blogger online. Forse di più, per come si son messe le cose, non si poteva davvero fare. In termini calcistici, è stato un salvataggio in corner. E non può non riconoscerlo lo stesso Paolo Peluffo, da anni collaboratore di Ciampi, entrato in scena in zona Cesarini, alla fine dell’ottobre scorso per tentare un’alternativa ai progetti via via evaporati. Il «piano B» messo a punto insieme con Marco Pizzo ed Emanuela Bruni e approvato nel gennaio scorso dal Comitato dei Garanti per le celebrazioni presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, prevede interventi su decine e decine di «luoghi della memoria». Un lavoro a tappeto. Ma difficile da portare a compimento: basti dire che le sole statue di Garibaldi sono 420. E che spesso questi «sacrari» versano in uno stato di penoso abbandono, umiliati dalla spazzatura e dalle erbacce. Quanto ai musei risorgimentali sparsi per l’Italia, meglio stendere un velo: per metà sono chiusi.
 probabile che il «pacchetto Peluffo» concentri gli sforzi (tanti) e i soldi (pochi) in sei progetti: il museo di Caprera e la casa di Garibaldi (sei milioni: l’investimento più grosso), Quarto (un milione), il museo di Porta San Pancrazio a Roma, il monumento dei Fratelli Bandiera a Crotone, la Domus mazziniana di Pisa e la Torre di San Martino della Battaglia. Più una decina di interventi medio-piccoli. Pare a Calatafimi, Mentana, Castelfidardo, Ravenna, Pastrengo, Sapri, l’obelisco di Montanara… In alcuni casi l’intervento consisterà semplicemente nel tagliare la cicoria intorno alle statue e mettere un cartello segnaletico. Ma i soldi sono quelli che sono.
«Sono del parere che si possano fare cose egregie spendendo poco o niente», aveva detto Ciampi a settembre lamentando l’assoluta mancanza di finanziamenti. L’hanno preso in parola. Per il progetto «luoghi della memoria» si spera di racimolare, in totale, 35 milioni di euro. Meno della metà di quanto è stato buttato per fare l’hotel a cinque stelle che doveva servire al G8 della Maddalena. Grossomodo quanto spende il governo in sei mesi di «voli blu». Ma lo stanziamento reale, al di là dei denari da prelevare tra le disponibilità di Arcus, la società controllata dal ministero che impiega ogni anno somme anche rilevanti per interventi (talora discussi) nel campo dell’arte e dei beni culturali, è di 15 milioni. Prelevati dai «residui di bilancio» di Palazzo Chigi. Pochi. E nessuno lo sa meglio del Cavaliere: per i lavori a villa Certosa ne avrebbe spesi (soldi suoi, si capisce) dodici. Tanto per dare un’idea, ogni anno i ristoranti di Camera e Senato, di milioni, ne costano dieci.
Emeno male che è passato il piano B. Perché si è corso seriamente il rischio che non ci fosse alcun piano. Dal troppo al niente. Nel 2007 il governo Prodi aveva infatti detto di avere progetti ambiziosissimi. Con un’opera pubblica significativa in ogni Regione. Perché in ogni Regione? E che cosa voleva dire significativa? In realtà l’obiettivo era chiaro: usare il Centocinquantenario come ennesima data-catenaccio, unico sistema impiegato in Italia per fare le cose un po’ più in fretta. Il gestore, ovvio, c’era già: la Protezione civile. Titolare dal 2001, grazie a una legge berlusconiana, di tutti i Grandi eventi.
Nella lista finiscono 11 interventi, per i quali sono messi a disposizione 140 milioni di euro iniziali. Briciole, ma dovrebbero servire a mettere in moto altri finanziamenti. C’è il nuovo palazzo del cinema di Venezia, il parco della Musica di Firenze, il Parco Dora di Torino, l’aeroporto di Perugia, l’auditorium di Isernia… Cosa c’entrano con l’Unità d’Italia? Boh. Intanto il tempo passa e qualcuno comincia a chiedersi: «Bene gli appalti, ma la ricorrenza? Come festeggiamo la ricorrenza?» Carlo Azeglio Ciampi, nella primavera del 2009, scrive a Bondi. Ma le sue sollecitazioni cadono nel vuoto. Allora esce allo scoperto uno dei componenti del suo Comitato, Ernesto Galli Della Loggia, che sul
Corriere pubblica un articolo dal titolo «Noi italiani senza memoria». Ricordiamo? «La conclusione, al momento attuale, è che per ricordare la propria nascita lo Stato italiano nel 2011 non farà nulla: nulla di pensato appositamente, con un rapporto diretto rispetto all’evento. Si limiterà a qualche discorso… M’immagino come se la deve ridere tra sé e sé il vecchio principe di Metternich, osservando lo spettacolo: non l’aveva sempre detto, lui, che l’Italia non è altro che un’espressione geografica?» Le reazioni sono immediate. Lo stesso Ciampi, mostrando di condividere l’analisi, fa capire di esser pronto anche a dimettersi. Poi, di giorno in giorno, le cose si trascinano senza soluzioni. Colpa della crisi. Dell’ostilità di qua della Lega e di là di un po’ di leader siciliani. Delle polemiche intorno alla Protezione civile. Delle inchieste e dell’arresto di Angelo Balducci e Mauro della Giovampaola. Un tormentone.
Fatto sta che evapora nel nulla il sito Internet per il quale era già stata firmata una convenzione con il Comitato di Torino. Nel nulla il tavolo di coordinamento. Nel nulla la richiesta torinese di una lotteria di finanziamento «gratta e vinci». C’è però un caso ancora più clamoroso: il concorso pubblico di idee per le celebrazioni con il quale i cittadini furono invitati a presentare progetti di varia natura che dovevano essere poi vagliati dal Comitato. Bando regolarmente pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Palazzo Chigi inondato di proposte: 352. Preselezione fatta, 17 progetti giudicati plausibili. Ma Bondi dice con chiarezza che non c’è trippa per gatti: quelle proposte «comportano nel loro complesso un onere finanziario assai rilevante e la loro attuazione non è compatibile con le attuali disponibilità». Da allora Giovanni Todaro e tutti gli altri vincitori non ne hanno più saputo nulla: «Mai una lettera, una telefonata. Spariti».
Cialtroneria di Stato? Anche. Ma forse c’è anche un’altra spiegazione. La struttura della presidenza del Consiglio che ha la gestione materiale di tutta l’operazione è, diciamo così, fuori servizio. Tra quelle sotto inchiesta della procura di Firenze, per capirci, ci sono infatti alcune opere previste per i 150 anni. Come l’auditorium del Maggio fiorentino. Sia Angelo Balducci che il suo successore alla guida della Struttura di missione, Della Giovampaola, quest’ultimo sostituito in emergenza da Giancarlo Bravi, ex direttore della ragioneria di Palazzo Chigi, sono in carcere. E nella lista delle imprese appaltatrici, per l’aeroporto di Perugia, c’è quella di Diego Anemone, il fornitore di massaggiatrici oggi in galera la cui moglie Vanessa Pascucci era addirittura in società con Della Giovampaola. Una tegola dopo l’altra. C’è poi da stupirsi se i progetti per celebrare la nostra unica, sia pure contestatissima, epopea patriottica, arrancano faticosamente nonostante la dedizione e la generosità di chi sta cercando di tappare le falle? Diciamolo: c’è chi ha pronte nel frigo le bottiglie di Champagne, per festeggiare gli intoppi del Centocinquantenario. Ma un Paese che non ha rispetto per la propria storia quale rispetto può avere di se stesso?
Sergio Rizzo
Gian Antonio Stella