F. Re., Il Sole-24 Ore 17/4/2010;, 17 aprile 2010
I TRE FRONTI CALDI: SICUREZZA, COSTI E TEMPI
Più potente (da 10 al 30% rispetto alle centrali nucleari di seconda generazione). Meno ingorda di combustibile nucleare ( il fabbisogno di uranio diminuisce di almeno il 15%) e, quindi, più redditizia. Più pulita (oltre a non emettere CO2 o altri fumi inquinanti promette di tagliare addirittura del 30% la produzione di scorie radioattive), Ancor più sicura (grazie al quadruplo backup di tutti i sistemi di controllo quando, invece, le altre centrali si fermano a due apparati che lavorano in parallelo). Ma come accade per ogni tecnologia al debutto ecco che alla palestra di scienza si accompagna, immancabile, anche la palestra di polemiche.
I tecnici e i gestori si giocano il futuro, dell’atomo e dei loro affari.Gli antinuclearisti sanno che dalla buona riuscita dell’Epr dipende la vera ripartenza del nucleare in tutto il mondo, non solo in Francia e in Finlandia, dove i nuovi reattori si stanno già costruendo, ma anche in Cina, dove l’operazione Epr sta per partire. E anche in Italia, che ha amorevolmente adottato la tecnologia d’oltralpe per le sue nuove ambizioni elettronucleari. E persino in America, dove l’Epr è nella testa e nei tavoli da disegno di non poche società elettriche.
Pedalano gli artefici. Danno battaglia i detrattori. Su tre fronti: la sicurezza, i costi, i tempi.
Epr sicurissimo? Perfino a prova di errore e non solo di attentato, giurano gli scienziati che lo hanno concepito e gli ingegneri che lo costruiscono. Oppure pericoloso come e più di Chernobyl, ammoniscono gli ambientalisti antinuclearisti di Greenpeace e dell’associazione Sortir du Nucléaire (Uscire dal Nucleare), che a inizio febbraio, proprio pochi giorni prima del grande convegno parigino promosso dall’Ocse sul rinascimento dell’atomo elettrico, hanno sfoderato un documento riservatissimo pescato nei cassetti dei tecnici progettisti.
Nel documento si illustrano, come d’obbligo, anche le conseguenze peggiori del peggior scenario ipotizzabile: manovre errate con i sistemi di controllo fuori uso. O più semplicemente, insinuano gli attivisti di Greenpeace agitando uno scenario vagamente plausibile, un uso "disinvolto" di una tecnologia di modulazione della potenza che si vorrebbe implementare nelle centrali Epr per risolvere il principale limite strutturale di una centrale nucleare: la scarsa modulabilità della produzione elettrica, con l’obbligo di mandare insomma a manetta l’intero impianto sia nella ore di massima richiesta sia in quelle scariche.
Ne sanno qualcosa proprio i francesi, che con la loro supremazia di centrali nucleari ci vendono energia scontata di notte (altrimenti non saprebbero dove metterla) per poi ritrovarsi corti di produzione nei momenti di picco della richiesta, con l’obbligo (a volte accade) di importare energia persino dall’Italia.
Le barre nucleari che scorrono dentro e fuori il reattore e che servono per accenderlo, rallentarlo o spegnerlo: il problema, nell’interpretazione data da Greenpeace del documento tecnico sottratto a Edf e Areva,sta tutto lì.Il sistema a barre dell’Epr sarebbe concepito in maniera troppo "elastica" proprio per consentire una modulazione altrimenti impossibile. Con il pericolo di creare scompensi e tensioni, fino «all’esplosione del reattore».
Inferociti gliartefici dell’Epr,che non negano la rosa di simulazioni teoriche allestite dai tecnici. Ma naturalmente negano ogni rischio, ogni disinvoltura applicativa che possa creare il minimo problema. E a certificare le loro parole scende in campo direttamente il premier francese Francoise Fillon, che taglia corto: «La tecnologia Epr è a tutti gli effetti la più sicura al mondo». Gli attivisti di Greenpeace sono semplicemente degli «irresponsabili».
E le accuse di sicurezza calate persino sulle procedure di costruzione? Non è un mistero: due annui fa l’autorità francese per la sicurezza nucleare ha fermato le colate di cemento, trovando discrepanze tra i disegni e le verifiche in corso d’opera.Qualche settimana dopo la correzione nelle procedure e il via libera. Tra gli immancabili strali degli osservatori no nuke, sempre in agguato. «Mancavano sessanta tondini di ferro su 10mila. Un’inezia, glielo assicuro. Nulla che potesse mettere minimamente in crisi la costruzione» giura Philippe Leigné, direttore dei lavori della centrale.
Costi dilatati e ritardi assicurati, accusano i detrattori. Leigné smentisce decisamente, anche qui. Sull’Epr di Flamanville, dal fischio d’inizio dato nel dicembre del 2007, lavorano 2.600 persone in turni di otto ore, sette giorni su sette. Pronti a lasciare posto ai 300 tecnici che ne gestiranno la vita operativa «assolutamente nei tempi preventivati, ovvero tra la fine del 2012 e l’inizio dei 2013» incalza il direttore. L’involucro di cemento del reattore è quasi completo. Sono iniziate il mese scorso le operazioni di genio civile: tubazioni, montaggi elettromeccanici. E anche il tunnel sottomarino che pesca l’acqua di raffreddamento 800 metri più al largo è stato inaugurato e adeguatamente allagato.
I costi, che secondo molti analisti avrebbero abbondantemente superato i 5 miliardi di euro? «Nel 2005 erano stati dichiarati 3,3 miliardi di euro, attualizzati a 4 nel 2008: le assicuro, non si muovono» taglia corto il direttore Leigné.