Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 17/4/2010;, 17 aprile 2010
METODO ”TREMONTI”: SU INTESA DECIDE LUI
Umberto Bossi, almeno, ha il pregio della chiarezza, quando dice che ”la gente ci chiede di prenderci le banche del n o rd ”. Ma quello che sta succedendo intorno a Intesa Sanpaolo è un altro tentativo senza precedenti da parte della politica di condizionare una banca. La più grande d’Italia. Solo che viene fatto senza troppe dichiarazioni pubbliche, in un gioco di liste, candidature- civetta e avalli impliciti che rende la vicenda di difficile comprensione. LA SUCCESSIONE. Il dato di cronaca è questo: la poltrona da presidente del consiglio di Sorveglianza che ora è di Enrico Salza dovrebbe andare, dopo l’assemblea degli azionisti del 30 aprile, a Domenico Siniscalco, ex ministro del Tesoro e attuale presidente di Assogestioni, l’associazione di categoria dei fondi comuni di investimento. Normale avvicendamento? Non proprio, ma una storia che chiarisce quali sono i rapporti tra credito e politica in questo momento. Premessa: dopo la fusione tra Intesa e Sanpaolo, nel 2007, la banca ha adottato un modello di organizzazione ”duale”. Le Fondazioni bancarie azioniste, i cui vertici sono nominati dagli enti locali (cioè dalla politica), che ricevono e spendono i dividendi sul territorio, nominano un ”consiglio di sorveglianza” (oggi il presidente è Giovanni Bazoli, sicuro della riconferma). Questo cds nomina poi un consiglio di gestione che si occupa di amministrare la banca: al suo interno vengono indicati i titolari delle due cariche più influenti, il presidente del cdg (oggi Enrico Salza) e il consigliere delegato (Corrado Passera). L’obiettivo del sistema è mettere una separazione – il consiglio di sorveglianza – tra la politica e la gestione, per garantire a tutti gli azionisti che il credito venga amministrato per produrre utile e non per compiacere i politici che stanno dietro alle fondazioni. In altri Paesi questo modello di go - vernance funziona. SENZA FILTRO. In questi giorni, invece, si assiste a un totonomine non previsto dallo statuto della prima banca italiana. La Compagnia di Sanpaolo, che è uno degli azionisti principali di Intesa, ha indicato come suoi rappresentanti Domenico Siniscalco e il professore della Bocconi Andrea Beltratti (la sua è considerata una candidatura debole, necessaria solo per non far sembrare i giochi chiusi con troppo anticipo). Su Siniscalco si stanno pronunciando anche gli altri azionisti, come Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo che è il primo azionista della banca. Peccato che, in teoria, nessuno di questi soggetti dovrebbe mettere bocca nella gestione: le fondazioni stanno discutendo di nomine che spetterebbero al consiglio di sorveglianza ancora prima che quest’ultimo sia stato nominato dall’assemblea degli azionisti del 30 aprile che, quindi, si troveranno di fatto a ratificare scelte già prese. Se poi si aggiunge che la candidatura di Siniscalco è fortemente sostenuta dal ministro del Tesoro Giulio Tremonti (che gli ha perdonato di aver accettato la poltrona di ministro dopo le sue dimissioni nel 2004) e dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino, diventa evidente qual è il ruolo della politica in una scelta che, da statuto di Intesa dovrebbe essere tutta aziendale. Un attento osservatore delle vicende bancarie commenta così: ”Siniscalco ha un triplice imprimatur, dal governo centrale, dalla Regione e dal comune, non si era mai vista una cosa di questo genere, sembra di essere tornati a quando le nomine dei banchieri erano di competenza del ministro dell’Economia sentito il comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Soltanto che allora le banche erano pubbliche”. Il sindaco Chiamparino, ieri, ha voluto precisare però che ”non ho avuto nessuna parte attiva, sono stato informato come è’ g iusto”. P O LT RO N E . Ma non è finita. Siniscalco al momento ricopre altre due cariche: è senior vice president della banca d’af fari Morgan Stanley e presidente di Assogestioni. Mentre lascerebbe la prima poltrona, manterebbe la seconda carica anche da presidente del consiglio di gestione di Intesa. Peccato che ad Assogestioni spetta, tra l’altro, il compito di stendere le liste di minoranza per le candidature nei consigli di amministrazione delle banche, inclusa Intesa Sanpaolo. E che la commistione tra raccolta del risparmio e fondi che gestiscono prodotti complessi è stato uno degli elementi più critici nella struttura del settore finanziario collassato nella grande crisi. Restano due domande a cui nessuno sembra avere una risposta chiara: perché Salza se ne deve andare? E cosa vuole la politica – in particolare Tremonti – da Siniscalco? Al primo quesito nessuno vuole rispondere. Ieri sulla Stampadi Torino è comparso un boxino di autodifesa in cui Salza si definisce ”manager di tutti” e ribadisce che ”ho sempre lavorato per la città”. Ma il suo destino sembra segnato. Perché Tremonti e la Lega vogliono un uomo di cui fidarsi. Ieri il governatore del Veneto Luca Zaia, che sta giocando la sua partita su Unicredit, ha detto: ”Le aziende vanno in difficoltà perché non c’é accesso al credito”. E quindi i leghisti vogliono una Intesa Sanpaolo più attenta alle esigenze dei piccoli imprenditori (anche se è coinvolta nelle grandi partite di sistema, da Telecom ad Alitalia). In teoria il governatore del Piemonte, Roberto Cota, il ministro Tremonti e Chiamparino non dovrebbero avere voce in capitolo sulle strategie aziendali e su chi merita il credito. Ma, in teoria, non dovevano intromettersi neppure nella nomina del presidente del consiglio di gestione.