Celestina Dominelli, Il Sole-24 Ore 17/4/2010;, 17 aprile 2010
DAL 7 AL 14%: FONDAMENTALE IL FATTORE TEMPO
Cosa accadrebbe se l’ex leader di An, Gianfranco Fini, divorziasse da Silvio Berlusconi? Il premier, sondaggi alla mano, la sua risposta l’ha già fornita al diretto interessato: se Fini scegliesse di andare da solo sarebbe la sua fine. Almeno a detta del Cavaliere.
Ma gli esperti cosa pensano? A giudicare dalle risposte, lo scenario non è poi così fosco. Perché un partito nuovo di zecca guidato da Fini riuscirebbe a racimolare il 7% di consensi. «Se si andasse al voto domani - spiega Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing – e nell’offerta elettorale ci fosse una nuova forza politica di Fini, questa new entry riuscirebbe a raccogliere il 7% dei consensi».
Il bottino, però, sarebbe ancora più interessante se l’ex leader di An costruisse un partito di più grande respiro. «Se nel progetto fossero cooptati anche il numero uno dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, e il leader di Alleanza per l’Italia, Francesco Rutelli chiarisce Noto – quel pacchetto di consensi crescerebbe fino al 13%. Per arrivare addirittura al 16% se della partita fosse anche il presidente della Fiat, Luca Montezemolo ». L’eventuale fuga in avanti di Fini potrebbe dunque condizionare lo scenario politico, ma provocherebbe qualche scompenso anche dentro il Pdl. Che, aggiunge Noto, «senza l’ex leader di An perderebbe il 20% del suo elettorato».
Vero è, osserva Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos, «che il tempo rema contro Fini ». Un conto, precisa il sondaggista, «è considerare un progetto di lungo respiro, da qui a tre anni, che avrebbe un certo seguito. Altra cosa è immaginare una nuova formazione politica con elezioni immediate visti i trend che hanno segnato le ultime consultazioni: la netta tendenza alla semplificazione politica, a ridurre i partiti, ma soprattutto il forte astensionismo. Due aspetti che penalizzerebbero nel breve periodo una nuova formazione politica ». Anche se fosse guidata da un leader che, prosegue Pagnoncelli, «gode comunque di un apprezzamento altissimo, pari al 60%, non solo tra gli elettori del centro-destra». Il motivo? «In quel 60% – chiarisce Pagnoncelli – è compreso anche chi ha fiducia in Berlusconie non è escluso che, nel caso di un eventuale strappo, si schieri con il premier».
La fiducia accordata a un politico, quindi, non si traduce automaticamente in consenso. «Basti pensare a Bettino Craxi - aggiunge Pagnoncelli – che era popolarissimo, ma il Psi non riuscì mai sfondare il tetto del 14%». Gli esempi, però, non mancano nemmeno guardando al presente. «Non c’è un rapporto tra gradimento di un leader e peso elettorale del suo partito – dice Nicola Piepoli, presidente dell’omonimo istituto ”. Umberto Bossi ha sempre avuto percentuali scarse di gradimento. Malgrado ciò la Lega ha sbancato alle ultime consultazioni ».