Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 17/4/2010;, 17 aprile 2010
ARANCE MADE IN ITALY (O QUASI)
Ricordate la rivolta di Rosarno? Mentre a Roma l’ex ministro dell’Agr icoltura, il leghista Luca Zaia, alla fine di marzo eletto governatore del Veneto, un giorno sì e l’altro pure tuonava contro i prodotti agricoli stranieri magnificando il made in Italy, nella punta estrema della Calabria gli immigrati, usati a centinaia fino all’anno prima per la raccolta degli agrumi, venivano presi a botte e fucilate perché non servivano più. Erano diventati inutili perché era saltato il vecchio sistema delle sovvenzioni agricole europee e il prezzo delle arance era precipitato così in basso che non era conveniente raccoglierle neanche con i disperati pagati sei euro al giorno. Per la produzione dei succhi era economicamente vantaggioso usare il semilavorato congelato fatto arrivare a navi intere dal Brasile fino a Gioia Tauro o nei porti olandesi. Questione di costo Di fronte alla convenienza, le imprese nazionali di trasformazione non hanno esitato un attimo a voltare le spalle alle arance italiane ignorando i sermoni ministeriali, a dispetto di tutte le retoriche sulla filiera agricola tricolore. Tutte le imprese, da Zuegg a Parmalat, da Doria a Sterilgarda. Tutte, compresa Conserve Italia della Confcooperative, nei cui succhi commercializzati con i marchi Yoga, Derby e Valfrutta, non c’è neanche mezza goccia di agrumi calabresi. E se può dispiacere che gruppi privati ignorino i prodotti nazionali, anche se in fondo non desta meraviglia perché sono aziende con il profitto come stella polare, quando si parla di Conserve Italia il discorso cambia. Conserve Italia non è un’azienda qualsiasi, per almeno due motivi. Il primo è che si tratta di una grande coop bianca. Il secondo motivo è che è pure un’impresa a partecipazione statale. Dal dicembre 2005 il ministero dell’Agricoltura è ”socio finanziatore ” della coop attraverso l’Isa, Istituto di sviluppo agroalimentare, avendo sottoscritto un aumento di capitale sociale di 30 milioni di euro su 70 in totale. Una quota che gli consente di avere due rappresentanti in consiglio di amm i n i s t ra z i o n e . Non risulta che durante i fatti di Rosarno il ministro abbia speso la sua influenza politica per risolvere la crisi delle arance né che i due consiglieri ministeriali di Conserve Italia abbiano mai posto all’ordine del giorno la faccenda. A riprova di quanta distanza ci sia anche in agricoltura tra la propaganda e i fatti, nessuno si è chiesto se e che cosa la grande azienda cooperativa avrebbe potuto eventualmente fare per scongiurare che la fiammata di rivolta dagli aranceti della Piana di Gioia Tauro si propagasse a tutta la regione. E se in preprodotti nazionali, anche se in fondo non desta meraviglia perché sono aziende con il profitto come stella polare, quando si parla di Conserve Italia il discorso cambia. Conserve Italia non è un’azienda qualsiasi, per almeno due motivi. Il primo è che si tratta di una grande coop bianca. Il secondo motivo è che è pure un’impresa a partecipazione statale. Dal dicembre 2005 il ministero dell’Agricoltura è ”socio finanziatore ” della coop attraverso l’Isa, Istituto di sviluppo agroalimentare, avendo sottoscritto un aumento di capitale sociale di 30 milioni di euro su 70 in totale. Una quota che gli consente di avere due rappresentanti in consiglio di amm i n i s t ra z i o n e . Non risulta che durante i fatti di Rosarno il ministro abbia speso la sua influenza politica per risolvere la crisi delle arance né che i due consiglieri ministeriali di Conserve Italia abbiano mai posto all’ordine del giorno la faccenda. A riprova di quanta distanza ci sia anche in agricoltura tra la propaganda e i fatti, nessuno si è chiesto se e che cosa la grande azienda cooperativa avrebbe potuto eventualmente fare per scongiurare che la fiammata di rivolta dagli aranceti della Piana di Gioia Tauro si propagasse a tutta la regione. E se in presenza di un ministro che ha fatto del made in Italy la sua bandiera, neanche le imprese di trasformazione agricola partecipate dallo Stato ritirano e valorizzano il Prodotto nazionale, a che santo devono votarsi gli agricoltori calabresi? Che cosa devono fare per non morire? Conser ve italia Conserve Italia è così grande che le sue scelte produttive pesano e fanno la differenza per quanto riguarda i destini di pezzi importanti dell’agricol - tura italiana. La sua base sociale è costituita da 51 cooperative, ha 8 stabilimenti in Italia, 6 in Emilia-Romagna, uno in Toscana e uno in Puglia. Poi controlla società anche all’e s t e ro , in Francia e in Spagna, dove dirige altri 4 impianti, 3 in Francia che commercializzano prodotti con il marchio St. Mamet e uno in Spagna nella regione di Murcia. In pratica è una grande multinazionale agricola e, così come è scritto nel sito dell’Isti - tuto di sviluppo agroalimentare del ministero, ”è la prima industria conserviera italiana e si colloca tra le aziende leader nel settore delle conserve vegetali e dei succhi di frutta in Europa”. I numeri danno un’idea del valore strategico del gruppo: 700 milioni di euro di fatturato, oltre mille dipendenti fissi e 3 mila stagionali, 37.600 tonnellate di pomodori lavorati, 9 mila di pesche, pere, mele e albicocche, 7 mila di mais, ceci, piselli, fagiolini e fagioli borlotti. Nel 2002 Conserve Italia si è ingrandita acquisendo anche i marchi Cirio e De Rica e nello stesso anno ha aperto il suo più grande stabilimento a Pomposa, in provincia di Ferrara, con Pier Ferdinando Casini, segretario dell’Udc, invitato d’o n o re . Le aziende cala bresi Dal punto di vista del business la faccenda delle arance rappresenta una quota marginale di Confcooperative, anche se per i produttori calabresi, invece, in gioco c’è la sopravvivenza. La Coldiretti si è inserita in questa crepa cogliendo la palla al balzo per acuire lo scontro che da un po’ di tempo la oppone proprio a Confcooperative. La posta in gioco è la rappresentanza delle coop bianche. La Coldiretti sta insidiando il monopolio di Confcooperative le quali, ovviamente, resistono e fanno quadrato. E’ uno scontro durissimo, su un terreno in passato comune ad entrambe le organizzazioni: il mondo contadino di ispirazione cattolica. Ai tempi della Dc e della Prima Repubblica l’ostili - tà tra le varie organizzazioni non aveva ragione d’e s s e re , ognuna coltivava il suo orto e c’era posto per tutti. Dopo Tangentopoli le cose sono cambiate. Da ultimo la Coldiretti si è sempre più avvicinata al governo di Silvio Berlusconi e in particolare al ministro leghista Zaia, mentre Confcooperative ha curato i legami con l’Udc di Casini. Il presidente nazionale Coldiretti, Sergio Marini, fautore come Zaia di ”una filiera agricola tutta italiana”, ha picchiato duro contro Confcooperative sulle arance: ”Abbiamo affidato la valorizzazione economica dei nostri prodotti a certe cooperative che sono state brave ad accaparrarsi una barca di risorse pubbliche lasciando i coltivatori letteralmente in mezzo alla strada a fare la fame”. Secondo calcoli della stessa Coldiretti il reddito degli agricoltori in un anno è precipitato addirittura del 25 per cento. Il presidente Confcooperative risponde infastidito alle ”prete - stuose dichiarazioni” Coldiret - ti: ”Le arance calabresi sono del tipo biondo, con un’acidità eccessiva e un sapore amaro, lontano dai gusti dei consumatori; non le lavoriamo perché non sono adatte. Se ci fossero in Calabria agricoltori in grado di fornire un prodotto di qualità, non avremmo un attimo di esitazione a mettere sul mercato succhi prodotti con arance di quella regione”. Ma chi glielo deve dire agli agricoltori di Rosarno e della piana di Gioia Tauro che per non morire devono cambiare? Conserve Italia pensa ai suoi soci, la Coldiretti a farle la guerra. Ma il ministro che fa? A meno che per lui, leghista, il made in Italy valga solo fino al Garigliano.