Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La notizia non è che Obama ha perso le elezioni di Midterm e che i repubblicani, adesso, controllano la Camera. La vera notizia è che da ieri è cominciata la campagna per le presidenziali del 2012. I repubblicani hanno già due candidati per le primarie: Sarah Palin, la signora dei Tea party che corse con McCain contro Obama; e Marco Rubio, figlio di cubani, trionfatore in Florida, 39 anni, giovane, bello e ambizioso. I democratici dovrebbero ripresentare Obama senza fare le primarie. Ma qualcuno comincia a dire che forse bisognerebbe trovargli un’alternativa (Hillary?). Visti i risultati di martedì notte, la riconferma non è affatto sicura.
• Ci sono un sacco di parole che non capisco. Cominciamo da “midterm”.
Mezzo termine. Il “mezzo termine” si riferisce al mandato presidenziale. Un presidente, dopo un paio d’anni di governo (quindi a metà strada), si trova di fronte alle elezioni che devono rinnovare completamente la Camera e poco più di un terzo del Senato. Se perde, non va in crisi perché nel sistema americano potere legislativo (Parlamento) e potere esecutivo (Casa Bianca) non hanno alcuna sovrapposizione. In altri termini, non esiste il nostro meccanismo della fiducia parlamentare. È successo tante volte che il presidente avesse contro le camere. È capitato anche a Clinton.
• Quanto ha perso Obama?
255 seggi ai repubblicani e 178 ai democratici. Al Senato la rappresentanza democratica è scesa, ma conserva la maggioranza: 51 a 47, grazie ai successi in California (Svhwarzenegger torna a casa) e in Nevada. Però al Senato Barack non potrà impedire l’ostruzionismo: per questo ci vogliono almeno 60 seggi. Quindi, problemi anche qui.
• Ragioni della sconfitta?
La recessione più grave dagli anni Trenta, la disoccupazione ai massimi storici, milioni di pignoramenti di case, il deficit pubblico ai livelli della Seconda guerra mondiale. L’Iraq, l’Afghanistan, il disastro ambientale del New Mexico. Il presidente ha sostenuto che, per quello che riguarda la crisi economica, la colpa è dei repubblicani. Nei comizi, Obama ha usato l’immagine di un’automobile che Bush ha fatto precipitare in un burrone. «L’hanno lasciata lì e se ne sono andati. È toccato a noi andarla a recuperare: l’abbiamo spinta su per la china con sforzi enormi, siamo riusciti a rimetterla in strada, l’abbiamo girata nella giusta direzione e, quando stiamo per ripartire, da dietro qualcuno ci fa tap tap sulla spalla: è un repubblicano che vuole le chiavi. Volete dargliele?». Il problema è anche che durante le presidenziali Barack, con la mania del sogno americano, aveva fatto troppe promesse. I repubblicani hanno vinto le elezioni attaccando direttamente la politica di questi due anni, specialmente le enormi somme stanziate dal Tesoro per salvare le odiatissime banche. «Non è il governo a creare ricchezza, sono gli imprenditori. Non dobbiamo aspettare un leader che arrivi da lontano, dobbiamo credere in noi stessi». Così ha predicato Rand Paul, primo senatore eletto dal partito nel Kentucky.
• E il Tea Party?
Cioè, la festa del tè, allusione alla famosa notte di Boston del 16 dicembre 1773 in cui gli americani salirono a bordo di tre navi inglesi e buttarono a mare il tè, preludio della guerra d’indipendenza di tre anni dopo. Adesso si chiama così un movimento conservatore che contesta il criterio della spesa pubblica con cui Obama ha governato in questo primo biennio. Soprattutto gli addetti del Tea Party non vogliono altre tasse. L’esponente di maggior spicco è Sarah Palin, che ha cominciato la sua campagna per le presidenziali molto prima di queste elezioni. Fortunatamente per Obama, la convivenza dei Tea Party con i repubblicani potrebbe rivelarsi complicata. Nel neo partito di maggioranza, molti temono che l’atteggiamento di Palin & C. verso gli immigrati (vorrebbero cancellare l’emendamento che garantisce la cittadinanza a chiunque nasce negli Stati Uniti) potrebbe spingere gli ispanici, destinati a diventare in futuro una fetta sempre più grande della popolazione, verso i democratici. Marco Rubio, di cui dicevamo all’inizio, ha evitato accuratamente di intrupparsi con la Palin. Essendo figlio di cubani, punta proprio al voto degli ispanici.
• Altre conseguenze del voto?
Sparirà dalla scena Nancy Pelosi, speaker alla Camera. Al suo posto andrà quasi certamente John Boehner, un allievo di Newt Gingrich, che fu speaker repubblicano negli anni Novanta. Il partito non lo ama troppo, ma ha l’appoggio dei grandi gruppi: Wal Mart, Goldman Sachs, Citigroup, Google, ecc. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/11/2010]
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