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 2010  novembre 04 Giovedì calendario

LE COSTITUZIONI IDEOLOGICHE NASCITA, VITA E DECLINO

Il presidente del Consiglio si è finalmente espresso in maniera chiara su quel che pensa della Costituzione. Asserendo come essa non sia, o non dovrebbe essere, un dogma ha comunque dato voce al pensiero di molti. Personalmente, e lo dico con il rispetto dovuto al documento fondante la nostra democrazia, ho sempre considerato il testo costituzionale fin troppo rigido, al punto di essere addirittura meno interpretabile della Bibbia. E di questa sua «rigidità» ne siamo tutti consapevoli visto che ci viene insegnata sui banchi di scuola. Ma è proprio questo che volevano i «padri costituenti»? Vista anche l’eccessiva flessibilità delle carte e degli statuti precedenti?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani, le Costituzioni sono documenti ideologici e riflettono l’ideologia dominante di una fase storica. Nel caso delle maggiori Costituzioni del Settecento — quella degli Stati Uniti e le tre Costituzioni francesi dell’era rivoluzionaria — l’ideologia è la religione laica della volontà popolare e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge contro il potere del sovrano e le antiche gerarchie dello Stato feudale. Nel caso delle Costituzioni ottocentesche l’ideologia è quella dello Stato nazionale, in cui il re accetta di esercitare il suo potere «per volontà della nazione». Sono documenti relativamente brevi in cui si descrivono le competenze degli organi costituzionali, il modo della loro formazione e il loro funzionamento. Poi, nel Novecento, le Costituzioni riflettono le ideologie e i programmi politici dei partiti di massa. La Costituzione italiana del 1948 è un abile compromesso fra le ideologie prevalenti nei partiti antifascisti alla fine della Seconda guerra mondiale con una forte connotazione socialista e cristiana. La Carta allarga considerevolmente il numero dei diritti, attribuisce alla proprietà una responsabilità sociale, fissa alcuni limiti alla libertà d’impresa, restringe i poteri dell’esecutivo a favore del parlamento.
Ciascuna di queste Costituzioni è soggetta al logorio del tempo. Quando i fatti dimostrano che la società è cambiata e che la vecchia Carta non è più in grado risolvere i nuovi problemi della società nazionale, le Costituzioni continuano a promettere ciò che non possono mantenere e sopravvivono soltanto se sono imposte dal potere (è il caso della Costituzione sovietica sino al collasso dell’Urss) o vengono tenute in vita da una sorta di convenienza condivisa. Fanno parzialmente eccezione alla regola i Paesi che riescono a emendare periodicamente la loro Costituzione come gli Stati Uniti. Ma l’unica vera eccezione è la Gran Bretagna, un Paese che non ha una Costituzione scritta perché la sua democrazia nasce verso la fine del Seicento, è pre-ideologica e le regole fondamentali dello Stato vengono continuamente emendate da leggi ordinarie. Quanti italiani, tanto per fare un esempio, si sono accorti che la Camera dei Lords è gradualmente diventata in questi ultimi anni una seconda Camera, molto simile ai Senati delle democrazie continentali?
Anche la Costituzione italiana, soprattutto nella sua seconda parte, è irrimediabilmente invecchiata. Per la verità era già invecchiata quando cominciammo a tentare di riformarla negli anni Ottanta, ed è diventata da allora sempre più inadatta ai tempi in cui viviamo. Dopo avere cercato di riformarla organicamente con una legge costituzionale approvata dal parlamento, ma bocciata nel referendum del 2006, Berlusconi ha deciso di riformarla «all’inglese», vale a dire con una serie di correzioni e aggiustamenti adottati con leggi ordinarie. Peccato che le abbia mescolate con altre, dirette a risolvere i suoi problemi personali, e sia diventato in tal modo il meno credibile dei riformatori costituzionali.
Sergio Romano