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 2010  novembre 04 Giovedì calendario

A NUOTO NELLA MANICA? LA FRANCIA SI E’ STANCATA —

L’inglese Anna Wardley, 35 anni e un lavoro nelle pubbliche relazioni, alla fine aveva le allucinazioni: «Vedevo carote spuntare dalle facce della gente sulle barche e ho riconosciuto commossa il mio cane, che però non c’era». Le ci sono volute 22 ore, ma finalmente è riuscita a salire sulla terraferma di Cap Gris-Nez vicino a Calais, in Francia, dopo avere percorso a nuoto tutti i 34 chilometri dello Stretto sulla Manica. Come lei, ogni giorno, da fine giugno a inizio ottobre un paio di intrepidi sportivi spalmati di grasso di balena affrontano le onde: troppi, secondo i francesi, che proprio nei giorni dello storico accordo militare tra Londra e Parigi sono tornati a chiedere il bando di quello sport molto britannico chiamato Channel swimming.
Perché impedire la traversata? Perché è il tratto di mare più trafficato al mondo, dove passano 500 navi al giorno, molte di loro immense porta-container da 100 mila tonnellate che ci mettono due miglia a fermarsi; nuotare da Dover a Calais è come attraversare a piedi l’autostrada. E perché affrontare l’impresa, invece? Qui la risposta è più difficile. I nuotatori devono sbracciarsi tra onde che cambiano direzione in media ogni sei ore, il freddo, e la fatica di una sfida quasi sempre destinata al fallimento: solo uno su 10 ce la fa. Eppure, da 135 anni, oltre diecimila persone si sono tuffate nella speranza di raggiungere a nuoto la nazione rivale e amica. Il fascino di un atto di ardimento apparentemente un po’ fuori dalla storia è anzi aumentato negli ultimi anni, dopo l’exploit dell’attore David Walliams (tra i protagonisti della serie tv «Little Britain») che nel 2006 ha raggiunto a nuoto Calais raccogliendo fondi per beneficenza.
«Sempre più persone si buttano in un tratto di mare che è davvero affollato, il pericolo cresce di anno in anno — dice Jean-Christophe Burvingt, capo della Guardia costiera francese —. Prima o poi ci sarà una collisione. Noi abbiamo già decretato il bando nel 1996, spero che i britannici facciano lo stesso». Anche le compagnie di traghetti cominciano a essere preoccupate. «Troppe traversate senza regole, il rischio c’è — ha detto all’Independent Chris Newey, responsabile dei passeggeri della compagnia danese Dfds —. Ci dispiace scoraggiare un’attività che spesso viene usata a scopi benefici. Ma la priorità deve essere la sicurezza».
Gli inglesi sono molto meno impauriti. Come i salmoni risalgono la corrente, così i britannici seguono l’istinto di mettere piede sul suolo francese, forse memori dei Plantageneti nella guerra dei Cent’anni. Da tempo ormai si può nuotare solo dall’Inghilterra alla Francia e non viceversa, ma la grande maggioranza di chi ci ha provato è sempre stata comunque britannica. Tra questi il primo a riuscirci, il mitico capitano Matthew Webb che il 25 agosto 1875 toccò terra francese diventando un eroe popolare e prestando poi, dietro compenso, nome e baffoni alle fabbriche di fiammiferi e tazze da thè. Webb conquistò talmente fama e sicurezza in se stesso da strafare: otto anni dopo si tuffò nelle cascate del Niagara, e non ne uscì vivo.
Nello stretto della Manica, invece, nonostante le lagne dei francesi mai un incidente, almeno finora. L’impresa deve essere preparata e seguita metro dopo metro da una delle due associazioni abilitate: la «Channel Swimming Association» e la «Channel Swimming and Piloting Federation», che forniscono le barche d’appoggio e omologano il risultato. Alison Streeter ha attraversato il Canale a 18 anni, e c’è riuscita altre 42 volte, conquistando il record del mondo. «Il punto non è la distanza — spiega —, un mucchio di gente può nuotare per 34 chilometri in una piscina. La difficoltà maggiore è il freddo». Lo ha sofferto anche l’elettricista Philippe Croizon, uno dei pochi francesi a cimentarsi, un mese fa. Vittima dell’amputazione parziale di gambe e braccia dopo essere stato colpito da una scarica elettrica sul lavoro, Croizon ha raggiunto Calais a nuoto dedicando il successo a «tutti quelli che hanno perso il gusto della vita».
Stefano Montefiori