varie, 4 novembre 2010
SCHEDONE SU ANDREW CUOMO PER GIORGIO
Andrew Cuomo, candidato del Partito democratico, il 2 novembre è stato eletto governatore dello Stato di New York. Ha sconfitto con il 60% dei voti il candidato repubblicano, vicino al Tea Party, Carl Paladino, italoamericano come lui. Cuomo subentrerà all’attuale governatore David Paterson il 1° gennaio.
Paladino, miliardario, palazzinaro di Buffalo (vicino alle cascate del Niagara), ha fatto notizia soprattutto per gli insulti, l’omofobia, la minaccia di usare violenza fisica contro gli avversari, la passione per i siti porno più estremi («accoppiamenti tra donne e cavalli», secondo la denuncia di un suo collaboratore). È un groviglio di contraddizioni: critica la spesa facile dei politici ma la sua società immobiliare si è procurata generose esenzioni fiscali. Non ha alcun senso della misura: «La riforma sanitaria di Obama - ha detto - è un assalto alla Costituzione più grave dell’attacco alle Torri gemelle».
Christian Rocca, giovedì 4/11 sul Sole 24 Ore, ha criticato i candidati aggressivi e rozzi come Paladino presentati dal Tea Party: «I Tea Party, però, hanno anche fatto perdere il Senato ai repubblicani e chissà quanti altri seggi alla Camera a causa di candidati inadeguati, incapaci, talvolta impresentabili. La loro intransigenza è spesso imbarazzante (il candidato governatore di New York, Carl Paladino, ieri ha minacciato l”eletto Andrew Cuomo con occhi spiritati e una mazza da baseball)».
La campagna elettorale tra i due italoamericani è stata molto accesa, tanto che anche Cuomo, generalmente posato e tranquillo, è sbottato: «Se il mio avversario dice nei comizi che io non ho le palle, che cosa rispondo, che lui è un buco di c….?».
Per Andrew Cuomo la vittoria è sempre stata al sicuro, i sondaggi gli hanno sempre assegnato un vantaggio superiore al 25%.
Cuomo, nato a New York il 6 dicembre 1957, è già procuratore generale dello stato di New York, che negli Usa è anche ministro della Giustizia. Ha usato il pugno di ferro contro gli eccessi di Wall Street e contro la mafia italoamericana.
Il suo sogno nel cassetto è la Casa Bianca. Cuomo è figlio d’arte: suo padre, Mario, è stato governatore di New York tra il 1983 e il 1994. Al culmine della popolarità, stava per lanciarsi alla nomination presidenziale, ma rinunciò all’ultimo (divenne famoso come “l’Amleto dell’Hudson”).
Il padre di Mario Cuomo, Andrea, era un droghiere di Nocera Inferiore, emigrato negli Stati Uniti alla fine degli anni Venti. Riuscì comunque a far studiare i suoi cinque figli. Andrew Cuomo ricorda spesso quanto gli stereotipi contro gli italoamericani fossero dolorosi per suo padre: «Era un modello di eleganza, discrezione, stile, e gli toccava esibirsi sul palcoscenico della politica negli stessi anni in cui gli italo-americani erano dei cafoni o dei banditi mafiosi in tutti i film».
Andrew Cuomo non ha avuto di questi problemi, si è inserito facilmente nella grande politica americana anche grazie al matrimonio con una delle figlie di Bob Kennedy, Kerry, matrimonio turbolento durato dal 1990 al 2005, dalla quale ha avuto tre figlie. Ora vive con Sandra Lee, una anchorwoman della rete tv via cavo Food Network.
Andrew è entrato in politica lavorando alle campagne elettorali del il padre. Fu poi ministro a Washington, con il portafoglio dell’Edilizia Pubblica, nelle due presidenze di Bill Clinton. Nel 2002 tentò la candidatura a governatore dello Stato, ma rinunciò all’ultimo.
Cuomo ha passato le ultime settimane di campagna elettorale a collezionare appoggi tra i sindacati dei dipendenti statali e tutti i notabili della politica. Ha contribuito così a rafforzare, involontariamente, l’equazione del Tea Party: «Partito democratico uguale élite, establishment».
Subito dopo l’annuncio della vittoria, Cuomo ha parlato in difesa dell’identità newyorkese, cercando di stemperare gli ardori della campagna elettorale: «Siamo un unico Stato, siamo New York. Ci sono ricchi e poveri, omosessuali ed eterosessuali, ma continuiamo a essere uno Stato, New York. Nessuno riuscirà a dividerci, siamo una comunità e crediamo nelle diversità. Non importa essere democratici, repubblicani o indipendenti, siamo newyorkesi».