ROSELINA SALEMI, La Stampa 4/11/2010, pagina 27, 4 novembre 2010
La sostenibile leggerezza del poco - Meno è meglio: si fa presto a dirlo. Ma è possibile rinunciare al servizio di piatti lilla, ai cofanetti di conchiglie made in China comprati in Croazia, ai pantaloni mai indossati, color uovo fritto? (Andavano di moda qualche anno fa)
La sostenibile leggerezza del poco - Meno è meglio: si fa presto a dirlo. Ma è possibile rinunciare al servizio di piatti lilla, ai cofanetti di conchiglie made in China comprati in Croazia, ai pantaloni mai indossati, color uovo fritto? (Andavano di moda qualche anno fa). Le cabine armadio straripano come i fiumi. L’esondazione di oggetti è ancora più grave se è il momento di traslocare. Allora si scopre che abbiamo accumulato troppo, in anni di sciagurati acquisti d’impulso. Ma si fa strada, complice la crisi, un nuovo stile di vita. Questo spiega come mai stia passando di mano in mano in mano il libretto di culto «Chic» di Marjorie Hill, scritto nel 1937 e ripubblicato da Baldini Castoldi Dalai Editore. Giornalista di «Vogue» per vent’anni ha distillato tutta la sua sapienza in questo libretto (che all’epoca ha avuto lo stesso successo di «Via col vento») dove insegna a vivere low budget con soddisfazione, grande eleganza e, soprattutto, a eliminare il superfluo, ad affrontare con determinazione la domanda: metterò mai questo cappotto, mi serve davvero il terzo servizio di piatti? La stessa domanda vale un po’ per tutto e l’inversione di tendenza è nell’aria. «Registriamo per esempio forti segnali di crisi dagli ipermercati», spiega Daniela Ostidich, sociologa dei consumi che sta lavorando a uno studio sulla «morte dei centri commerciali». «C’è un modo diverso di fare la spesa, il quattro per due, la megaofferta, il maxicarrello sono al tramonto. Paghi meno, è vero, ma compri il doppio e butti via molto. Le dispense sono piene, la sazietà genera nausea. E gli scatoloni consacrati allo shopping sono invecchiati precocemente, ci accorgiamo che deturpano il paesaggio, che non sono, e non possono essere la nuova piazza». Questo non significa sofferenza, rinuncia, ma leggerezza. Ed ecco perché si moltiplicano in tutta Italia gli swap party (320 dall’inizio dell’anno) momenti festosi di scambio anticrisi, mentre c’è chi comincia un novo percorso mentale vendendo su ebay gli oggetti archiviati negli armadi. Velia Paini, autrice televisiva l’ha fatto con soddisfazione: «Via, via tutto. Non c’era niente che mi servisse davvero», ha raccontato alle amiche. A Milano, Atelier del Riciclo propone iniziative curiose per sbarazzarsi di tutto o quasi: giovani artisti recuperano oggetti destinati alla discarica (si chiama Dumping art, c’è stata una bella mostra curata da Margherita Levo Rosenberg). Meno è meglio, certo, ma è davvero finita l’era dell’«I love shopping»? Niente affatto. Se ne è aperta un’altra, dove lo shopping ha un valore aggiunto. Lo sa bene Marina Spadafora, anima creativa della moda etica di «Cangiari» (Cambiare, in siciliano e calabrese) che propone la seta «non violenta»: «Il bruco non viene ucciso, diventa farfalla e il tessuto porta i segni dei piccoli nodi, lì dove il filo è stato spezzato e riannodato». Ma anche lane lavorate su antichi telai e abiti ricavati dalle fibre della ginestra. Alleggeriti dal peso di status symbol ormai tramontati, abbiamo un’occasione per essere migliori. Perciò, guai a non considerare che i nostri scarti possono avere una nuova vita. CLASS (Creativity Lifestyle and Sustainable Synergy) è un laboratorio dove biopolimeri derivati da proteine del latte, soia, alghe, cellulosa, bambù, fibre del legno e addirittura carapace di granchio diventano abiti e dove ogni materia viene presa in considerazione. Ma anche «So critical So fashion», associazione virtuosa passata dal recupero al glamour, è un crocevia di meravigliose contaminazioni. È tutta gente che si è liberata del superfluo e adesso crea. Armadi più leggeri, mente sgombra, meno tempo per lo straziante cambio guardaroba, e più tempo per noi.