Mario Deaglio, La Stampa 4/11/2010, pagina 1, 4 novembre 2010
Camusso segretario - Gentile Signora Camusso, le congratulazioni e gli auguri per la Sua nomina a segretario generale della Cgil non possono essere soltanto di facciata
Camusso segretario - Gentile Signora Camusso, le congratulazioni e gli auguri per la Sua nomina a segretario generale della Cgil non possono essere soltanto di facciata. La Sua nomina, infatti, mostra che questo Paese, pur con le pessime prove degli ultimi tempi, ha ancora energia civile e volontà di cambiare. Che la Cgil - a grandissima maggioranza e senza «quote rosa» - abbia eletto al suo vertice una donna in un periodo di maschilismo sguaiato e volgare, diffuso anche in alto loco, è di per sé un segnale incoraggiante; con la Sua nomina viene, inoltre, confermato un certo ricambio generazionale nella rappresentanza delle parti sociali, mentre in politica è difficilissimo che chi ha meno di sessant’anni giunga a posizioni di primo livello. Naturalmente La attenderanno sfide molto dure, sia esterne, legate alla crisi economica, sia interne, derivanti dalle posizioni molto differenziate all’interno del movimento sindacale che Lei dirige. Non è certo una provocazione suggerirLe di partire dalla storia, visto che con la Sua tesi di laurea e le Sue ricerche successive, poi interrotte per abbracciare l’attività sindacale, Lei ha studiato a fondo i primi tempi del socialismo italiano. O di avere il coraggio di guardare ancora più indietro, a Marx che sembra scomparso dal bagaglio culturale del sindacalismo: il Marx dei modi di produzione assai prima e assai di più del Marx della lotta di classe. Se qualcosa è mancato nel sindacalismo italiano di questi anni, al quale va in ogni caso riconosciuta una notevole vivacità e una notevole onestà culturale, si tratta precisamente dell’energia per riandare all’origine, per porsi la domanda fondamentale su che cosa sia oggi il produrre, su quali fattori produttivi siano necessari, chi ne sia il proprietario, come vengono e come dovrebbero essere remunerati. Un’analisi senza falsi pudori del modo di produzione dal capitalismo attuale porterà a un allargamento, se non al capovolgimento dello stereotipo della centralità del lavoro comune non specializzato, al riconoscimento dell’importanza del capitale umano, di come lo si acquisisce e lo si accresce nel corso di una vita. Su questa base credo che tutti si augurino di vedere la Sua Cgil proiettata non solo nella difesa strenua di chi attualmente ha un lavoro ma anche, e forse soprattutto, nella messa a punto, con le altre parti sociali, del lavoro nuovo, e di un sistema di sicurezza sociale nuovo, anziché limitarsi a rallentare il lento declino di quello attuale; un sistema produttivo e di sicurezza sociale in cui il lavoro possa essere misurato sull’arco di una vita anziché sul numero di ore da passare in fabbrica tutte le settimane. Tutti vorrebbero vedere una società in cui i giovani che oggi non si iscrivono più al sindacato possano sfuggire al futuro di precari e vengano stimolati e accompagnati in una crescita di natura professionale e sociale, in un contesto in cui si vive molto più a lungo, si lavora più a lungo in occupazioni che non procurino soltanto fatica ma anche soddisfazioni, magari con periodi di formazione da intervallare a periodi di lavoro. Un futuro, insomma, tutta da inventare, nel quale l’elemento dominante non può essere costituito dai pensionati i cui interessi, pur degni di ogni rispetto, non devono passare davanti a quelli dei giovani. Nell’invenzione di questo futuro, la Sua Cgil dovrà fare, prima o poi, non solo i conti con i «padroni» - conti purtroppo relativamente magri per il livello non esaltante dei profitti italiani - o con il governo, per spostare di qualche decimo di punto percentuale i livelli di spesa pubblica. Dovrà anche affrontare quelli, assai più spinosi, ma anche più interessanti, con l’economia globale che potrebbero riassumersi così: fino a che punto sarà ancora possibile proteggere posti di lavoro europei se questo vuol dire condannare al sottosviluppo aspiranti lavoratori asiatici o africani? E in quali campi e con quali modalità sarebbe possibile una collaborazione reciprocamente vantaggiosa? Non basta infatti affermare che cinesi e indiani devono essere pagati di più e avere più protezione sul lavoro, come effettivamente sta cominciando a succedere, occorre altresì considerare che la dialettica del futuro non sarà solo (o non tanto) quella capitale-lavoro, ma anche quella lavoro dei Paesi ricchi-lavoro dei Paesi (ex) poveri. Un primo banco di prova l’avrà con il problema degli immigrati, che non sono più, come recenti dati statistici hanno mostrato, eccezioni marginali ma una componente fondamentale del nostro modo di vivere e di produrre. Forse sarebbe meglio parlare, prima di tutto, di solidarietà tra esseri umani e tra cittadini, un’espressione vaga alla quale occorre dare un contenuto concreto. Dipenderà molto dalla Sua Cgil, e quindi anche dalla Sua azione personale, se gli orizzonti delle parti sociali in Italia potranno essere ampliati in maniera operativa, se questo Paese riuscirà a far ripartire in maniera consapevole i meccanismi arrugginiti della crescita. Per far questo occorrerà ricordare quello che disse Filippo Turati in un drammatico discorso parlamentare del luglio 1923, al tramonto della democrazia pre-fascista: «Il capitalismo… è la borghesia nel suo sviluppo, non già la plutocrazia nei suoi deliri parassitici». Nell’attuale, difficile momento sarà importante che la Sua Cgil sappia distinguere questa borghesia da una plutocrazia i cui deliri sono purtroppo molto evidenti. E gli auguri che Lei ci riesca non possono che essere i più sentiti.