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Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La Fiat ha confermato che da ieri, e fino al 5 marzo, due settimane in tutto, i trentamila lavoratori degli stabilimenti di Mirafiori, Termini, Sevel, Melfi, Cassino e Pomigliano resteranno a casa, coperti dalla cassa integrazione.
• Come mai? Avevo sentito che in gennaio le vendite di automobili sono andate bene.
Sì, in gennaio sono state consegnate 260 mila macchine contro le 158 mila del 2009. Tutto il settore auto, in termini di immatricolazioni, ha tirato nel primo mese di quest’anno: +30,22% in generale e leggermente di più per la Fiat: +30,4%, percentuale che ha permesso al Lingotto di mantenere la sua quota di mercato del 32%.
• E allora? Che mi significano queste due settimane di chiusura?
Stia attento alle parole: ho parlato di boom delle immatricolazioni e delle consegne. Gli ordini invece – cioè l’acquisto di automobili che arriveranno tra qualche settimana o mese – sono precipitati in gennaio del 50%. I buoni dati delle immatricolazioni sono un effetto degli incentivi statali, ancora in vigore a dicembre. La gente s’è precipitata a comprare la macchina prima che gli incentivi scadessero e ha così determinato i bei numeri d’inizio anno. Finiti gli incentivi col 2010, s’è vista molta meno gente nelle concessionarie. La ragione principale è questa: perché comprare la macchina adesso quando magari tra qualche settimana lo Stato mi darà una mano? Paradossalmente la domanda avrebbe sofferto di meno se il governo avesse detto subito una parola chiara su questo punto: non vi diamo gli incentivi, rassegnatevi. Ancora adesso molti commentatori pensano che alla fine lo Stato cederà e qualcosa alla Fiat arriverà. Per ora s’è trovata la formula dell’incentivo alla ricerca, che è un modo per dare una mano senza dar nell’occhio.
• Perché non si deve dare nell’occhio?
La Lega non vuole aiutare la Fiat, perché pensa che si debba dare una mano ad altre aziende, quelle più piccole che di solito sono lasciate sole a lottare contro le difficoltà del mercato mondiale. C’è un antipatia per Marchionne anche da parte di Confindustria e di Tremonti. Tolta di mezzo la Fiat, ci sarebbe comunque un mezzo miliardo da distribuire. Scajola vorrebbe far arrivare soldi all’industria degli scooter e a quella dell’arredamento.
• Sono stupito del fatto che la Fiat si rassegni a perdere gli aiuti senza battere ciglio.
Beh, il ciglio lo batte: ha messo in cassa integrazione per 15 giorni 30 mila persone! Un provvedimento mica da ridere e che va visto come una mossa per convincere il governo a far qualcosa. Marchionne ha già detto che, per esempio, ai lavoratori di Termini deve pensare lo Stato e che quello non è un problema suo. Del resto, lo stesso Scajola, che in questo frangente si pone come controparte del Lingotto, riferendo al Senato sulla situazione di Termini in particolare e del mercato dell’auto in generale ha confermato le difficoltà: «Il settore automobilistico nell’ultimo decennio ha subìto profondi cambiamenti. Bastano pochi dati per comprendere quanto sia mutato lo scenario: in Europa il numero dei marchi automobilistici è diminuito dai 58 del 1964 agli attuali 22; il numero dei modelli in produzione, per contro, è aumentato da 72 a più di 200. Negli ultimi anni l’offerta di auto nel mondo è stata superiore alla capacità di assorbimento del mercato: le aziende hanno aumentato considerevolmente la propria capacità produttiva, anche attraverso la realizzazione di molti nuovi impianti produttivi». Tutto vero. Però, in questo quadro, ci sono alcuni elementi sgradevoli. Primo: il fatto che anche la Fiat come le altre aziende del mondo si sia fortemente finanziarizzata, al punto che il 75% di ciascuna macchina è prodotto all’esterno. Secondo: in una congiuntura come questa, e con una perdita netta nel 2009 di 848 milioni, è poco politico che gli azionisti abbiano voluto riscuotere il dividendo, uno 0,17 euro per le ordinarie e uno 0,31 euro per le privilegiate.
• E gli stipendi dei manager?
No, prendersela con gli stipendi dei manager, quando operano con successo, è demagogico. Marchionne sta guidando una trasformazione dell’azienda epocale. Dentro questa trasformazione sta anche la progressiva internazionalizzazione del Lingotto. Già oggi, per esempio, il primo mercato della Fiat è il Brasile con 750 mila pezzi – tra auto e veicoli commerciali leggeri – venduti in quel paese contro le 722 mila unità immatricolate in Italia. Senza tener conto poi della Chrysler e degli americani, a cui Marchionne ha bisogno di far vedere che, se serve, è capace di tagliare anche in Italia. Non dimentichiamo tuttavia che il management Fiat afferma che l’Italia per loro resta centrale e che i due terzi degli otto miliardi di investimenti previsti finiranno qui. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/2/2010]
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