Stefano Salis, Il Sole-24 Ore 23/2/2010;, 23 febbraio 2010
NEL RETROBOTTEGA DELL’IKEA
Che fosse un personaggio fuori dagli schemi, Ingvar Kamprad, meglio noto come il «Signor Ikea », lo si sapeva da tempo. Ma che dietro la sua leggendaria avarizia, il suo essere sgradevole, le sue simpatie naziste o il suo passato da alcolista e persino dietro il successo della sua azienda ci fosse anche una abilissima strategia di comunicazione e una forte spregiudicatezza commerciale era, forse, meno pensabile. Eppure la denuncia di Johan Stenebo, ex manager dell’Ikea, allontanatosi dall’azienda ai primi del 2009 dopo 20 anni di servizio nei qualiè arrivato a fare l’assistente personale del terribile patron, fa riflettere. Intendiamoci: può essere che il libro al quale Stenebo ha affidato le sue memorie appartenga al genere «vendetta» ma non di certo è ascrivibile al «pettegolezzo»: tutto ciò che racconta in Ikea. Mito e realtà
(uscirà per le edizioni Egea fra qualche giorno) sembra verificato e non mancherà di suscitare polemiche. Se comunque di Ikea si è letto e scritto molto, di sicuro questo è il primo libro scritto dall’interno dell’azienda: e la sorpresa è forte.
Stenebo è stato testimone nella sua carriera di un miracolo aziendale. L’Ikea è passata negli ultimi 20 anni dai 2,5 ai 250 miliardi di euro di fatturato, l’organico da 30.000 a 150.000 persone, il numero dei punti vendita da 70, per lo più in Nord Europa, a 250 in tutto il mondo. Al timone, ovviamente, sempre Ingvar (come pretende di essere chiamato in azienda), fortissimamente Ingvar e solamente Ingvar.
Nella disamina di Stenebo ci sono accuse di sessismo e razzismo: in Ikea, infatti, secondo l’autore,vanno avanti solo i manager graditi a Ingvar e ai suoi tre figli – che si preparano a raccoglierne l’eredità ”, preferibilmente di nazionalità svedese e di sesso maschile. E poi molti altri misfatti, compresa una fitta rete di spie che riferiscono al fondatore tutte le mosse dei suoi collaboratori e qualche scopiazzatura nel design. Senza contare lo stile imprenditoriale, con il quale Ikea strozzerebbe i fornitori imponendo loro prezzi insostenibili, o le campagne filantropiche a tutela dell’ambiente e contro il lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo, vendute come fumo negli occhi per nascondere comportamenti più disinvolti. Stenebo, nella conclusione, si premura di dire che si tratta della «sua» verità e che ha voluto mettere in evidenza i difetti della società per esaltare ciò che di geniale e visionario c’è nel suo fondatore. La mancanza di dialogo e il fitto mistero intorno all’azienda sarebbe alla base della denuncia dell’ex manager.
Ma anche Severino Salvemini, docente alla Bocconi e prefatore del volume, nota che «come tutti i quadri che coprono le pareti non intonse, anche il mito di Ikea è una leggenda abilmente costruita che non ha mai fatto affiorare la coscienza sporca. Per di più, al contrario di Volvo o di Ericsson o di H&M,Ikea ”non essendo essa quotata in Borsa – non soggiace alle regole di trasparenza e di disclosure e quindi può farsi aiutare da un’atmosfera di mistero che il mercato finanziario non ha diritto di spazzare via».
Kamprad, con tutte le sue qualità e tutti i suoi difetti, è il protagonista assoluto del racconto e, non troppo paradossalmente, la grande virtù e probabilmente la più forte debolezza di Ikea. Dopo di lui infatti è difficile sapere come andranno le cose. «In questo – spiega Salvemini – Ikea assomiglia alle aziende famigliari italiane. Dal punto di vista dell’organizzazione aziendale Ikea non costituisce un modello, mentre lo è per il marketing e la logistica. Uno stile di direzione così incentrato sulla personalità del fondatore solleva sempre dubbi sul futuro ». Salvemini cita i casi di Caprotti (Esselunga, tornato sui suoi passi dopo aver pensato di cedere al figlio), ma anche quelli di Del Vecchio, Della Valle o Armani. Essere geniali e unici magari è il presupposto di un grande imprenditore, ma non garantisce il futuro dell’azienda. Proprio come gli arredamenti Ikea: fantastici per alcuni anni, ma che in pochi (o forse nessuno) considerano definitivi.