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 2010  febbraio 23 Martedì calendario

A 13 ANNI, PIERRE IN DISCOTECA «FUORI DI TESTA PER QUEL LAVORO»

ROMA- «Faccio il pierre, sì, e con ciò?», provocò lui. Il pierre? sgranò gli occhi lei. «Ama’, è il mio lavoro, c..zzovuoi?». Altro che pierre. Posseduto da un demone, così, da un giorno all’altro. Chestaddì, maddeché, ahò, scollati, sgombra, non ”sfrangermi” i c.. Il già compitissimo bambino, adesso tredicenne, sputava rospi e serpenti come Malcontenta alla fonte nella fiaba di Perrault. All’improvviso. Un altro. Rispostacce, insulti, invettive. Spintonamenti. Sì, le mani addosso a lei, sua madre. Pupille senza sguardo, danaro di fonte sconosciuta, a scuola voti a picco, postura dinoccolata, parlata spaccona e sboccata, calzoni in caduta verticale oltre la zona pubica. Lui, che faceva rodere di invidia le altre mamma. Lui, fedelissimo di campi sportivi e di parrocchia. Lui, che, fino a poco prima talvolta la guardava e, come fosse niente, le buttava lì: «Che, me lo dai un bacio?». Due, tre settimane, e puff, un sortilegio maligno e radicale: da fanciullo modello a bulletto, da studente esemplare a primo dei somari, da figlio a nemico. Da bimbo a pierre.
Ai primi segnali di trasfigurazione, Daniela aveva pensato: nervi saldi. Aveva pensato: il bimbo non è più bimbo, adesso va al liceo. Aveva pensato: variabili dell’adolescenza, periodo complicato, può accadere. Aveva pensato pure: droga. Aggressivo, irraggiungibile, alieno, distolto dalla vita. Gli indizi ci sono. Vuoi vedere? «Gli ho fatto il test». No, droga no. Non quella. Un’altra droga, che gli manipolava i riflessi condizionati il gergo i pensieri i desideri le strategie le priorità il cuore il cervello, ogni cosa. E benedetta Facebook, benedetta la figlia maggiore di Daniela, la quale, frugando sulla bacheca di Matteo, le rivelò l’arcano: l’ex bimbo era stato fagocitato nel business delle discoteche del sabato pomeriggio. Incarico: reclutare ”paganti”, come gli altri pierre, i suoi ”colleghi”. «Sono tantissimi, non immagina quanti. Sa che mi ha detto uno dei gestori, quando sono andata a implorarlo di lasciar perdere Matteo? Senta, signora, guardi che migliaia di ragazzini lavorano per le pomeridiane, in tutte le scuole di Roma, pubbliche e private. Che problema c’è?». Una specie di piramide, scandita dai gradi e dalle generazioni. «In cima i ventenni, che fanno ”lavorare” i 17enni, che fanno ”lavorare” i 15enni, che fanno ”lavorare” quelli di 13, 12, 11 anni». Lavorare? «Sì, ”lavorare”, dicono così. I pierre prendono una quota per ogni pagante che riescono a portare. Oppure ingressi omaggio. Se ne portano tanti scalano la piramide; fanno carriera. Perdono la testa. Sembrano plagiati. Un’ossessione. Tutto passa in secondo piano, rispetto al ”lavoro”. Lo lasci ”lavorare” per me, mi ha detto il gestore, così glielo proteggo».
Un bell’acchiappo, Matteo, nel giro. Precoce, efficacissimo, diligente, affidabile. Incarico di responsabilità: ”portare” ragazzine. Graziose, disinibite, tante. «Sul suo cellulare ho letto gli ordini che gli mandavano continuamente, anche in orario di scuola: portane cinque, portane otto, portane undici. Come se si trattasse di un’ordinazione di frutta e verdura». E lui ”portava”. «Il sabato pomeriggio lo lasciavamo come sempre in parrocchia, dove c’erano i suoi amici di sempre. Quelli coi quali sin da piccolo giocava a pallone, faceva gite, andava al cinema o in pizzeria. Abbiamo scoperto che a una cert’ora scappava via, per ”portare” le ragazzine che aveva reclutato a piazzale Flaminio, dove le ”consegnava” a un altro del suo gruppo. Poi ritornava in parrocchia». Missione compiuta, ”carriera” in ascesa. «Assoldava compagne di scuola, figlie di amici di famiglia, conoscenti. Le perseguitava. Per convincerle, andava persino a bussare a casa loro. Quando ho scoperto tutto, ho chiamato le mamme delle ragazze per avvertirle. Mi hanno risposto dai, non drammatizziamo, che male c’è, se vanno in discoteca?». Che male c’è? «Quando cercavo di spiegare a Matteo che lui contribuiva a far sfruttare quelle ragazzine come elemento di attrazione nei locali, lui rispondeva urlando: lasciami in pace, sei l’unica madre che rompe, vuoi rovinarmi la vita, vuoi farmi passare per sfigato, fatti i fatti tuoi».
Per un po’, Daniela si intestardisce nella fase uno: dialogo. Metabolizza rifiuti, spintoni, parolacce. Niente. Allora decide di passare alla fase due. Fare ciò che fanno certe genitrici per i figli tossici: madre coraggio. «Sono andata da un amico delle forze dell’ordine perché volevo denunciare i gestori per sfruttamento del lavoro minorile. Mi ha detto che non si può far nulla: i pagamenti ai ragazzi sono tutti in nero. Le prove non sono rintracciabili». Fase tre: esorcismo. Madre coraggio investe su se stessa. «Gli ho proibito di uscire. Gli ho sequestrato il cellulare. Mi ha odiata, ma pazienza. Per settimane ho ricevuto io i messaggi e le chiamate di quella gente. Rispondevo, chiedevo di lasciare in pace Matteo, mi dicevano aho, che è successo, ma che vuoi? Mi sono segnata tutti i numeri e i nomi. Infine mi sono disgustata. Ho sfilato la carta sim. Ma intanto Matteo..».
Negli occhi del segregato, racconta la sua mamma, lo sguardo comincia a ritornare lucido, vivo, come in un risveglio. «Sempre più sereno, tranquillo, come se fosse ritornato in sé. Disintossicato. Ha ripreso a studiare, a comportarsi in modo rispettoso. Ad essere Matteo». L’esorcista, stressata ma felice, ora sospira. «E’ come se mi fosse grato di averlo strappato a quella gente. L’altro giorno mi guarda, mi sorride, dice: a te non ti sfugge proprio nulla, eh? Che, me lo dai un bacio?». Daniela gliene ha dati due.
(marida.lombardopijolailmessaggero.it)