Giampaolo Pansa, Libero 23/02/2010, 23 febbraio 2010
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO TURCHIA
LA TURCHIA ABBATTE UN AEREO SIRIANO
REPUBBLICA.IT
ISTANBUL - Scontro tra Turchia e Siria per l’abbattimento di un jet siriano in volo sul confine tra i due paesi. Per Damasco si tratta di una "evidente aggressione", ma Erdogan non ci sta: "Aveva sconfinato, diamo risposte forti se si viola il nostro spazio aereo".
L’aereo abbattuto è stato colpito mentre attaccava i ribelli siriani che erano impegnati in un’offensiva nella provincia di Latakia. Il pilota del velivolo si è lanciato dall’aereo. Secondo i media turchi, il jet è caduto in una zona cuscinetto lungo la frontiera, vicino a un’area dove negli ultimi giorni i combattimenti della guerra civile siriana sono aumentati. Le truppe di Damasco stanno tentando di riprendere un punto di confine con la Turchia vicino alla città di Kassab, che i ribelli hanno preso venerdì.
Turchia abbatte caccia siriano al confine: "Ha sconfinato"
Non è la prima volta che l’aviazione turca abbatte un aereo siriano vicino al confine. A settembre, un jet da combattimento turco ha colpito un elicottero militare di Damasco che era entrato nello spazio aereo del Paese. La Turchia nel 2012 ha cambiato le sue regole in proposito, stabilendo che ogni elemento militare siriano che si avvicini al confine turco venga trattato come obiettivo legittimo.
ANALISI DELLA SITUAZIONE IN SIRIA
BEIRUT – Negli ultimi giorni della guerra siriana si sono prodotti alcuni fatti che avrebbero meritato un certo risalto sui giornali italiani, se non fossero stati per così dire oscurati dalla crisi ucraina. In particolare, l’esercito di Damasco, con il sostegno sempre più decisivo degli Hezbollah libanesi, ha potuto conseguire due successi sul campo che, seppure non tali da far pensare ad una svolta decisiva nell’andamento del conflitto, hanno tuttavia prodotto un riequilibrio delle forze in una zona strategica, questa sì, essenziale per le sorti della guerra, qual è l’asse Damasco-Homs. Questi due successi del regime sono rappresentati dalla riconquista delle città di Yabroud, al centro della regione del Qalamun, parte centrale della catena montuosa che corre parallela al confine con il Libano detta, appunto, Antilibano e, meno importante dal punto di vista strategico, ma forse più spendibile sul piano mediatico, la cacciata dei ribelli dal Krac dei Cavalieri, forse la più bella e meglio conservata fortezza crociata di tutto il Medio Oriente, che domina la piana di Homs, su cui adesso sventola la bandiera siriana.
La riconquista di Yabrud ha posto fine ad una campagna militare cominciata a metà novembre nel corso della quale son stati uccisi da 500 a 1500 guerriglieri, fra i quali alcuni noti comandanti, appartenenti alle principali fazioni della rivolta armata, dai jihadisti dal Fronte Nusra, riconosciuto come diretto rappresentante di Al Qaeda nel teatro di guerra siriano, al gruppo non meno estremista ma politicamente più oscuro conosciuto come lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levane, al presumibilmente laico e semi disastrato dalle divisioni interne, Libero Esercito Siriano, più tutta una sarabanda di brigate e milizie minori di estrazione locale.
Naturalmente, anche l’esercito di Damasco e gli Hezbollah hanno subito gravi perdite nel corso della lunga battaglia. La quale si spiega col fatto semplicissimo che, controllando i monti del Qalamun, i ribelli si erano assicurate le vie di rifornimento, vale a dire il passaggio di uomini, armi e mezzi, diretti dal Nord del Libano alla Goutha, la grande, arida regione che circonda Damasco, da cui le formazioni armate della rivolta tentano instancabilmente di dare l’assalto alla capitale. Yabroud, in sostanza, era la retrovia dei ribelli impegnati alla conquista di Damasco.
Ma c’è un secondo elemento atto a spiegare l’importanza di questa battaglia. Yabroud, distante solo pochi chilometri dalla cittadina libanese di Ersal, nella valle della Bekaa, viene considerata come la base a partire dalla quale le milizie che combattono contro Assad e i suoi alleati, attraversando agevolmente un confine mai tracciato ufficialmente e per giunta percorso dai mille sentieri del contrabbando, possono agevolmente trovare rifugio sul versante libanese del Qalamun e, alla bisogna, secondo le ultime scoperte dei servizi di sicurezza libanesi, esportare la guerra in un paese fragile come il Libano, dove sono presenti tutti gli attori della crisi siriana, i quali, a dispetto degli impegni di tenere il Libano fuori dal conflitto, se ne lasciano, al contrario, fatalmente risucchiare.
A Yabroud, hanno scritto i giornali libanesi, senza tuttavia fornire immagini, o prove fattuali di questa circostanza, dopo la ritirata dei ribelli, sarebbe stata trovata l’officina in cui venivano “preparate” le autobomba, con targa libanese, che nei mesi scorsi hanno fatto strage nei quartieri a Sud di Beirut, roccaforte metropolitana dell’ Hezbollah, o nei villaggi della Bekaa santuario del Partito di Dio.
Sta di fatto che, in seguito alle sconfitte subite a Yabroud e al Krac dei Cavalieri, centinaia di miliziani jihadisti, fra i quali non pochi feriti gravemente, si sono riversati sul confine cercando rifugio in Libano. E se alcuni sono caduti in imboscate tese dagli Hezbolah o dai gruppi speciali dell’esercito libanese accorsi precipitosamente alla frontiera con la Siria, sembra che molti siano riusciti ad entrare e, fra questi, non pochi quelli feriti gravemente.
E qui bisogna chiarire un punto fondamentale riguardante le complicità createsi in questa guerra che, cominciata in Siria, sembra estendersi ogni giorno di più anche al Libano. E’ un fatto che gli Hezbollah libanesi hanno deciso di intervenire direttamente in Siria in quella che considerano una battaglia per la sopravvivenza. Non tanto e non solo, dunque, per proteggere i luoghi santi della fede sciita o i villaggi abitati dagli sciiti, come hanno detto all’inizio, quanto per difendere se stessi, come partito (e come milizia armata) al servizio di una minoranza che può sopravvivere soltanto se sopravvive il legame fondante con l’Iran sciita e con la Siria di Assad che ne rappresenta il collegamento logistico e militare.
Ma, gli Hezbollah libanesi non sono i soli che hanno preso partito e imbracciato le armi nel conflitto siriano. Anche alcune milizie sunnite libanesi come Jund el Sham, il cui Emiro, Mahmud al Dandashi, alias Abu Suleiman, ucciso al Krak dei Cavalieri, sono corsi a infoltire le schiere dei miliziani anti Assad. Questo per restare ai partecipanti diretti nel conflitto siriano. Poi ci simpatizzanti libanesi della rivolta siriana e i partiti, come il Movimento del Futuro, dell’ex premier Saad Hariri, che hanno munificamente appoggiato la ribellione armata e considerano il coinvolgimento dell’Hezbollah nella guerra siriana come la causa principale della crisi in cui sprofondano le istituzioni politiche libanesi, nonché il pretesto che spiega, se non giustifica, l’ondata di terrore che si è abbattuta contro gli obbiettivi e i quartieri degli sciiti.
Perché, paradossalmente ma non troppo, proprio qui, in Libano, sembrano affermarsi più visibilmente quegli aspetti settari, da guerra di religione, o tra religioni, che affiorano tra i molti altri motivi della crisi siriana. Che cosa sta succedendo da anni a Tripoli, la cosiddetta capitale del Nord, patria di patrimoni spropositati e di miserie abissali, se non uno scontro settario tra sunniti e alawiti (gli alawiti essendo una setta eterodossa dello sciismo, la stessa cui appartiene la famiglia Assad, in Siria)?
Come se si accordasse al ritmo, agli alti e ai bassi, del campo di battaglia siriano, a Tripoli lo scontro tra le milizie sunnite del quartiere Bab el Tabanneh e gli alawiti armati del quartieri Jabal Mohsen, ha ripreso fuoco in questi giorni di sconfitte amare per i guerriglieri sunniti in fuga dal Qalamun verso il Libano: 27 sono i morti delle sparatore a colpi di mitra e di bazooka degli ultimi dieci giorni, centinaia di feriti.
E’ una faida politico-religiosa, se così si può dire, che va avanti da anni, come un fuoco volutamente tenuto a fiamma bassa, ma sempre pronto a divampare a comando. Solo che, di solito, gli scontri duravano fino a quando l’esercito non si interponeva tra i combattenti. Allora si contavano i morti e i feriti e le armi sparivano, fino al prossimo scoppio. Ora non è più così. Quest’ultimo round di violenze, cominciato a metà marzo, ha visto alcuni sceicchi salafiti, i più conservatori, accusare l’esercito di partigianeria, di avercela con i miliziani sunniti e con i sunniti in generale e, soprattutto, di aver messo “sott’assedio” Ersal, la cittadina-teminale dei rifugiati siriani in Libano (centomila profughi contro 50 mila abitanti) e, a quanto apre, anche di molti miliziani in ritirata.
Fatto sta che tra le vittime degli scontri di Tripoli, specchio della crisi siriana, seppure su scala ridotta, ci son anche, tra i feriti, una dozzina di miliari dell’Armèe.
Il timore, ha scritto il sito del giornale al Akhbar, è che i reduci di Yabrud spostino a Tripoli il loro campo di battaglia. O anche a Beirut, dove la notte tra sabato e domenica, s’è sparato (un morto e una decina di feriti) nel quartiere prevalentemente sunnita di Tarek Jdideh, confinante con la periferia sud degli sciiti. Una pessima novità per il neonato governo d’ “interesse nazionale”di Tammam Salam.
GUL: RIAPRIREMO TWITTER
IL PRESIDENTE turco Abdullah Gul fa sapere di essere in contatto con Twitter per una veloce soluzione del blocco sul social network nel suo Paese. "Ho dato istruzioni al mio staff - ha detto secondo quanto riporta Hurriyet online - perché contatti Twitter", ha spiegato ai giornalisti ad Ankara, prima di partire per l’Olanda.
"Non è legalmente possibile spegnere Internet e piattaforme", ha aggiunto, sottolineando che il numero dei tweet è raddoppiato da quando il governo del premier Recep Tayyip Erdogan ne ha bloccato l’accesso. "Questa è certamente una situazione spiacevole per un Paese sviluppato come la Turchia, che ha peso nella regione e che negozia con l’Unione europea. Quindi sarà risolto presto", ha dichiarato ancora.
ERDOGAN A LUCI ROSSE
Tutta la Turchia ne parla. A bassa voce, però, perché il caso è davvero sconveniente. Eppure il pettegolezzo corre, si arrampica sul web, e il tam tam diventa inarrestabile, a dispetto di ogni richiesta di autenticità. Normale, forse, il giorno dopo la chiusura d’ufficio degli account Twitter di tutto il Paese. E la legge del contrappasso sembra colpire in modo inesorabile il premier censuratore.
Le malelingue sostengono che il video a luci rosse di cui si parla da mesi, pronto a uscire nei prossimi giorni, nella settimana cruciale che precede le elezioni locali del 30 marzo, potrebbe riguardare Recep Tayyip Erdogan e la bellissima ex Miss Turchia, Defne Samyeli. Vero? Falso? Impossibile da verificare, resta solo da attendere l’ultima, "mefitica" dice il governo islamico conservatore, ondata di registrazioni su YouTube, capace però di svelare le malefatte finanziarie del leader e di parecchi dei suoi principali ministri.
"I colpi, adesso, arrivano sotto la cintura", osserva il commentatore Ahmet Hakan. E nell’atmosfera di caos che si respira in Turchia prima del voto, si favoleggia di un matrimonio per una notte, concluso però secondo il rito sciita (i turchi sono in maggioranza musulmani sunniti), in grado di essere sciolto la mattina dopo. Una manovra che permette di aggirare i vincoli religiosi, e morali, accostandosi a una donna che non sia la propria consorte. Lo sposalizio a tempo determinato, il "mutà", viene praticato da alcune comunità musulmane, ed è soggetto a un dibattito acceso circa la legittimità e l’opportunità di una pratica ufficialmente non riconosciuta dal sunnismo.
E comunque, per il molto osservante Erdogan, che come quasi tutti gli esponenti del suo Partito della giustizia e dello sviluppo ha moglie velata (la signora Emine) e si tiene ben lontano dagli alcolici (sempre più alte le tasse del governo sul raki, la bevanda nazionale), uno scandalo di questo tipo avrebbe proporzioni piuttosto serie. L’attraente Defne è stata vista diverse volte con il premier in occasioni ufficiali. È entrata a far parte del partito e diventata amica della moglie. Adesso si è sùbito affrettata a smentire ogni voce su un possibile legame col leader.
Dietro le quinte della battaglia politica si agita sempre più l’ombra di Fetullah Gulen, l’influente pensatore islamico autoesiliatosi in Pennsylvania e in rotta con Erdogan dopo che quest’ultimo gli ha tagliato i finanziamenti per le sue scuole private, ritenuto l’ispiratore delle intercettazioni che hanno portato alle dimissioni di 3 ministri e al rimpasto di ben 10 responsabili di dicastero.
Le autorità turche hanno spiegato ieri la messa al bando di Twitter perché la piattaforma di microblogging è "faziosa" e non ha impedito "la sistematica diffamazione" del governo - si legge in una nota diffusa dall’ufficio del premier - "facendo circolare intercettazioni telefoniche acquisite illegalmente e falsificate". Ankara in mattinata ha anche impedito l’accesso a Google Dns, uno dei siti più utilizzati per aggirare il blocco a Twitter. Una misura "stupida", ha commentato il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt. Erdogan, dopo il voto di domenica prossima, ha promesso la chiusura di Facebook e YouTube.
ANSA SULL’AEREO ABBATTUTO
Ansa.it
erdogan merkelerdogan merkel
Un aereo militare siriano è stato abbattuto dalla difesa antiaerea turca mentre bombardava un gruppo di ribelli che cercava di prendere il controllo di un valico di frontiera nel nord est del paese. Lo ha reso noto l’osservatorio siriano dei diritti dell’uomo. L’aereo, secondo l’Ong, ha preso fuoco prima di schiantarsi in territorio siriano.
ereo militare siriano abbattuto da difesa turcaereo militare siriano abbattuto da difesa turca
"La nostra risposta sarà forte se si viola il nostro spazio aereo". Lo ha detto il premier turco Recep Tayyip Erdogan, durante un comizio elettorale, elogiando l’armata turca per aver abbattuto un aereo militare siriano alla frontiera tra i due paesi.
La contraerea turca ha abbattuto oggi un aereo da caccia siriano "che colpiva postazioni dei terroristi in territorio siriano". Lo ha detto una fonte militare di Damasco citata dall’agenzia governativa Sana. Il ministero degli Esteri siriano ha accusato Ankara di una "aggressione militare ingiustificata e senza precedenti".
ereo militare siriano abbattuto da difesa turcaereo militare siriano abbattuto da difesa turca ASSAD PUTINASSAD PUTIN
La fonte militare ha sottolineato che l’abbattimento è avvenuto nell’area di Kassab, nel nord della provincia di Latakia, vicino al confine con la Turchia, dove negli ultimi giorni ribelli jihadisti hanno lanciato un’offensiva contro le forze lealiste. Il pilota si è salvato lanciandosi con il paracadute. Il ministero degli Esteri di Damasco ha denunciato in un comunicato quello che ha definito "il coinvolgimento della Turchia in Siria fin dall’inizio degli eventi", cioè del conflitto civile.
MARCO ANSALDO SULLA STAMPA
Marco Ansaldo per "La Stampa"
DEFNE SAMYELIDEFNE SAMYELI
Tutta la Turchia ne parla. A bassa voce, però, perché il caso è davvero sconveniente. Eppure il pettegolezzo corre, si arrampica sul web, e il tam tam diventa inarrestabile, a dispetto di ogni richiesta di autenticità. Normale, forse, il giorno dopo la chiusura d’ufficio degli account Twitter di tutto il Paese. E la legge del contrappasso sembra colpire in modo inesorabile il premier censuratore.
RECEP ERDOGANRECEP ERDOGAN
Le malelingue sostengono che il video a luci rosse di cui si parla da mesi, pronto a uscire nei prossimi giorni, nella settimana cruciale che precede le elezioni locali del 30 marzo, potrebbe riguardare Recep Tayyip Erdogan e la bellissima ex Miss Turchia, Defne Samyeli. Vero? Falso? Impossibile da verificare, resta solo da attendere l’ultima, "mefitica" dice il governo islamico conservatore, ondata di registrazioni su YouTube, capace però di svelare le malefatte finanziarie del leader e di parecchi dei suoi principali ministri.
DEFNE SAMYELIDEFNE SAMYELI
"I colpi, adesso, arrivano sotto la cintura", osserva il commentatore Ahmet Hakan. E nell’atmosfera di caos che si respira in Turchia prima del voto, si favoleggia di un matrimonio per una notte, concluso però secondo il rito sciita (i turchi sono in maggioranza musulmani sunniti), in grado di essere sciolto la mattina dopo. Una manovra che permette di aggirare i vincoli religiosi, e morali, accostandosi a una donna che non sia la propria consorte. Lo sposalizio a tempo determinato, il "mutà", viene praticato da alcune comunità musulmane, ed è soggetto a un dibattito acceso circa la legittimità e l’opportunità di una pratica ufficialmente non riconosciuta dal sunnismo.
DEFNE SAMYELIDEFNE SAMYELI
E comunque, per il molto osservante Erdogan, che come quasi tutti gli esponenti del suo Partito della giustizia e dello sviluppo ha moglie velata (la signora Emine) e si tiene ben lontano dagli alcolici (sempre più alte le tasse del governo sul raki, la bevanda nazionale), uno scandalo di questo tipo avrebbe proporzioni piuttosto serie. L’attraente Defne è stata vista diverse volte con il premier in occasioni ufficiali. È entrata a far parte del partito e diventata amica della moglie. Adesso si è sùbito affrettata a smentire ogni voce su un possibile legame col leader.
DEFNE SAMYELIDEFNE SAMYELI
Dietro le quinte della battaglia politica si agita sempre più l’ombra di Fetullah Gulen, l’influente pensatore islamico autoesiliatosi in Pennsylvania e in rotta con Erdogan dopo che quest’ultimo gli ha tagliato i finanziamenti per le sue scuole private, ritenuto l’ispiratore delle intercettazioni che hanno portato alle dimissioni di 3 ministri e al rimpasto di ben 10 responsabili di dicastero.
Le autorità turche hanno spiegato ieri la messa al bando di Twitter perché la piattaforma di microblogging è "faziosa" e non ha impedito "la sistematica diffamazione" del governo - si legge in una nota diffusa dall’ufficio del premier - "facendo circolare intercettazioni telefoniche acquisite illegalmente e falsificate". Ankara in mattinata ha anche impedito l’accesso a Google Dns, uno dei siti più utilizzati per aggirare il blocco a Twitter. Una misura "stupida", ha commentato il ministro degli Esteri svedese, Carl Bildt. Erdogan, dopo il voto di domenica prossima, ha promesso la chiusura di Facebook e YouTube.