Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica 23/02/2010, 23 febbraio 2010
IN LOVE WITH SHAKESPEARE
Tra un mese esatto, il 23 aprile, ricorre il 450esimo anniversario della nascita (presunta, valutando il battesimo documentato del 26 aprile 1564) di William Shakespeare, l’autore di teatro più conosciuto e più messo in scena ovunque e in tutti i tempi, drammaturgo-attore che riceverà ogni tipo di omaggio in un ampio “corridoio” di due anni esatti, visto che morì 52enne il 23 aprile del 1616, e il 400esimo della scomparsa cadrà nel 2016. Perché, da metà del Settecento, Shakespeare assurse a rango di classico? E perché questo nome riscuote invariabilmente un culto universale tributato da ogni età, ceto e livello di sapere? Più di una, le risposte: è il più eccezionale raccontatore di fatti e di caratteri mai esistito, è il più prolifico fabbricante di parole di impatto fluido e naturale, è il più strategico specialista di temi politici e civili, è il più poetico ritrattista della morte dell’amore (e dell’amore per la morte), è il più antesignano artefice di concept sull’ambiguità del genere sessuale, è il più romanzesco drammaturgo delle criticità di gente di potere e di gente discriminata.
A suo favore, nella nostra era, c’è la frammentabilità del suo immenso repertorio. I limitati caratteri di Twitter e dei tanti social network della cultura dei
nostri anni lo rendono massicciamente popolare, e le frasi, gli aforismi che fioriscono dalle sue ope-
re svettano negli indici di consultazione online mondiali e italiani. La percezione del costante boom di ricerche testate da Google Trends parla di una sempre eccezionale vendita di libri teatrali (nell’ordine:
Macbeth, Sogno, Romeo e Giulietta, Amleto, Otello...),
di centinaia di app per smartphone e tablet (applicazioni sul repertorio, sul linguaggio, sui personaggi), di archivi fotografici tematici, di gallerie virtuali di opere d’arte. E mentre il creatore di teatro più immortale (e intelligentemente trasgredito) aveva bisogno di 1500-2000 spettatori paganti a ogni replica, il suo corrispettivo destino di oggi può far leva su milioni di “mi piace” su Facebook, su 966mila video su YouTube (dove il motore di ricerca registra da noi il massimo dei contatti per
Shakespeare, Shakespeare in Love, Romeo e Giulietta),
oltre che su performance e film di fattura canonica o rielaborata.
Proprio adesso, in un periodo celebrativo che ha il suo cuore in Inghilterra ma riguarda ormai cultori, spettatori e lettori di ogni Paese — coinvolgendo noi italiani per la
locationin
nostre città di alcune tra le sue più fortunate commedie — forse potremmo lodare in controtendenza alcune qualità anti-istituzionali, alcuni studi dei lati oscuri dell’uomo, alcune inquietanti messe a nudo di fenomeni individuali e collettivi che testimoniano la frugalità e il pragmatismo di questo genio irripetuto. Shakespeare è patrimonio di artisti contemporanei di apocalittica reinvenzione, e si pensi ai dirompenti, beffardi e dolorosi manifesti dei vari
Amleto,
e di
Romeo e Giulietta, Riccardo III
e
Otello
con cui il nostro Carmelo Bene ha segnato decenni di negatività fantastica e possessiva. Ma
il Bardo è stato anche oggetto di una destrutturazione violenta e iconoclasta da parte di Romeo Castellucci, autore-regista della Socìetas Raffaello Sanzio, che dopo aver affrontato con colpi sconvolgenti l’Amleto giunse a misurarsi con l’ars oratoria del
Giulio Cesare
attraverso apparecchi foniatrici che visualizzassero la carne delle parole, e attraverso le sonorità artaudiane di un laringectomizzato, con recupero attuale di
Pezzi staccati.
Il positivo rumore culturale globalizzato annuncia tra l’altro un sequel cinematografico di
Shakespeare in Love
e una inedita versione dal vivo al Noël Coward Theatre di Londra, e preannuncia mostre, musical, allestimenti, riscritture, audiolibri, ebook, celebrazioni e percorsi a Stratford-Upon-Avon, città natale dello scrittore. Tutto ma anche il contrario di tutto (ci fu un’alzata di scudi contro un’infondatezza di identità sostenuta dal film
Anonymous
di Roland Emmerich del 2011) viaggia da sempre sul potere delle parole e delle storie di circa 38 capolavori del Bardo, ma la stima degli uomini edotti e degli uomini semplici continua a essere sproporzionatissima in rapporto all’uomo William, alla conoscenza scarsa, lacunosa e misteriosa delle vicissitudini dell’individuo Shakespeare. La sua meteora, il suo insegnamento, la sua fascinazione fanno i conti con una persona di origini provinciali e modesta istruzione, con uno che sposò diciottenne una moglie otto anni più grande, da cui ebbe tre figli, da cui “fuggì” per andarsene a Londra inizialmente a tenere in custodia i cavalli all’ingresso dei teatri, per poi entrare rapidamente nel sistema della scena, recitando e scrivendo per l’industria dell’intrattenimento
retta dalla logica del profitto, ma sempre spinto da un’etica contraria alle realtà politiche e sociali del tempo, tranne la parentesi intima dei
Sonetti
“dedicati” al mecenate-amico del cuore Southampton, e alla Dark Lady.
Ed è opportuno prendere atto che chi è stato in nuce lo sceneggiatore di tanti film (dall’Amleto di Meliès agli Shakespeare di Laurence Olivier, di Welles, di Kurosawa, di Bene, di Brook, di Zeffirelli, di Stoppard, di Branagh, di Radford, fino a
Cesare deve morire
dei fratelli Taviani), pur baciato dal successo, abitasse a Londra in stanze affittate in quartieri modesti, prima di acquistare la casa New Place nel luogo di nascita, e di garantirsi un buen retiro londinese a Blackfriars tre anni prima di morire relativamente giovane, in concomitanza con l’incendio del Globe Theatre. Ed è bello che, al di là del suo accorto testamento, l’eredità dei suoi testi alimenti continui picchi di vendita dell’editoria (con punte massime nel 1932 e nel 1953), ispiri nostri interi cartelloni come quelli della veterana Estate Shakespeariana a Verona e del Globe di Roma diretto da Proietti, e induca molti teatranti a un gran lavoro rivoluzionario sulle sue pietre miliari della scena. Nel senso che, oltre a Bene e Castellucci, i vari Peter Brook, Bob Wilson, Peter Zadek, Peter Stein, Heiner Müller, Robert Lepage, Giovanni Testori, Giancarlo Cobelli, Leo de Berardinis, Luca Ronconi, Carlo Cecchi e Valerio Binasco hanno aggiunto forza contemporanea e tradimenti vitali a un autore che anche al suo millesimo anniversario resterà colui il quale ha scritto le tavole della legge del teatro.