Cristiano Gatti, il Giornale 23/2/2010, pagina 11, 23 febbraio 2010
ANCHE VIVERE FA MALE: VIETIAMO PURE QUELLO?
Premesso che tutti vorremmo respirare meglio, sarebbe bello che adesso ci dessero anche un po’ di respiro. Questo flagello cosmico dell’inquinamento sta veramente ammorbando l’aria, almeno quanto il Pm10 che dobbiamo abbattere. Ogni giorno un’idea. Sarà che al ministero dell’Ambiente stanno definendo il famoso piano antismog, con incontrollabile proliferare di proposte, ma gli effetti sull’opinione pubblica restano pesanti: non appena la Prestigiacomo avrà chiuso il suo piano antismog, toccherà al ministro della Salute avviare subito le consultazioni per un urgentissimo piano antistress, con l’obiettivo di attenuare l’ansia da smog su larga scala.
L’ultima che si sente dire in giro è pittoresca: limite di velocità a 90 sulla Milano-Bologna, sul raccordo anulare romano e attorno a Napoli. Subito si potrebbe liquidare la questione con la solita battuta sul traffico italiano, rassegnata e fatalista: «Arrivarci, ai 90». Ma purtroppo non è il momento di fare battute. Pare che l’idea sia molto seria e molto caldeggiata in ambienti ministeriali.
Ora: chi davvero frequenta stabilmente i più tormentati tratti autostradali sa che un limite così basso può soltanto peggiorare la situazione. Novanta all’ora è sinonimo di sicuri rallentamenti, di quegli interminabili elastici, stop-and-go, che rendono estenuante il viaggio e più inquinante il traffico. Questo non significa che si debba sgusciare via tutti come giaguari invasati, portando magari i limiti a 170: significa soltanto che vanno benissimo i 130, però con l’accalorata implorazione di farceli toccare sempre, stabilmente, senza imbuti e senza ingorghi. Lo può confermare qualunque agente della Stradale: la nube tossica dei veicoli è molto più tossica quando stanno fermi o procedono al rallentatore nelle code, che quando filano via regolari nei tempi e nelle andature di norma.
Certo la discussione porta lontano, perché poi qualunque esperto è pronto a estrarre dati che dimostrano tutto e il contrario di tutto. La realtà è che qualunque gesto, qualunque momento della nostra esistenza risulta sotto schiaffo. Sulle nostre teste aleggia la nube densa dei comandamenti eco-compatibili. Di tutti i generi, di tutti i colori. Dopo averci detto di lasciare l’auto nel box, con domeniche a piedi, Ecopass e targhe alterne, ci hanno spiegato che anche l’aereo è molto inquinante. Però inutile ripiegare sulla nave: è pure peggio. L’alimentazione: non dobbiamo mangiare troppa carne e bere troppo latte perché gli allevamenti inquinano. Bisogna comprare frutta e verdura degli orti vicini a casa, per limitare i gas tossici dei trasporti (campagna «mangiare a chilometri zero»). Bisogna stare in casa con il maglione, per tenere più basso il riscaldamento e inquinare meno l’aria: l’ideale come Gesù, col bue e l’asinello. E ovviamente in casa bisogna muoversi il meno possibile: spegnere quanto prima computer, tv, lavatrici, perché consumano energia e produrre energia significa inquinare. Hanno lanciato un anatema persino contro la prima schermata di Google: è bianca, brucia più energia. Altro che progresso e benessere: tutti dobbiamo metterci in testa che bisogna cambiare stili di vita. Le nostre comodità, i nostri piaceri, le nostre cosine: ridurre, magari abolire. Se poi gli italiani evitassero di respirare continuamente, si abbatterebbe drasticamente anche la percentuale di malattie respiratorie.
Ovvio che non sia facile trovare soluzioni efficaci all’inquinamento: qualunque leva si cerchi di muovere, si ha sempre la sensazione di svuotare l’oceano con una forchetta. E per quante forchette possiamo assommare, è sempre lo stesso, maledetto, disperato lavoro: vuotare l’oceano con le forchette. La difficoltà dell’impresa, però, non deve diventare l’alibi per questa specie di fantasia al potere che sta dilagando attorno alla piaga smog. Lo sappiamo tutti che cosa bisognerebbe fare: avere ovunque il teleriscaldamento, magari con centrali in cui si bruciano i rifiuti (circolo virtuoso che per esempio Brescia si sta godendo da anni), avere ovunque veicoli di generazione Eco 5, oppure a metano e a corrente elettrica, avere più treni e meno Tir in giro. Sappiamo tutti che questa è l’unica ricetta possibile. Ma sappiamo pure che non ce la possiamo permettere. Oggi, subito.
Cosa fare, allora: rassegnarci? Certo che no: nell’impossibilità di arrivare dritti al risultato, si deve «tendere a». Cioè imboccare la strada. Cominciare. Sotto con i mezzi pubblici a metano, con i treni, con le auto pulite, con il cambio delle caldaie, con i teleriscaldamenti. Solo una preghiera, però: evitiamo di arrampicarci sugli specchi, escogitando l’improbabile, l’improponibile e l’impraticabile. L’obiettivo è abbattere le polveri sottili, non alzare il polverone. Basta fumo negli occhi: già ne respiriamo abbastanza.
Cristiano Gatti