Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Spettacoloso arrivo di Gheddafi a Roma. Non solo per la tenda da 60 metri quadri fatta piazzare a Villa Pamphili (quella lo segue sempre, tutte le volte che va all’estero) e forse neanche per le donne-soldato che gli fanno da guardie del corpo. Ma per l’uniforme con cui s’è mostrato a Ciampino e specialmente per la foto in bianco e nero appesa al petto a mo’ di decorazione. Una cosa che non s’era mai vista.
• Che cosa diavolo rappresentava?
L’eroe Omar al-Mukhtar in catene. Lo circondano i soldati fascisti. Mukhtar combatteva contro di noi, che eravamo gli invasori. I libici lo cantavano «forte come una quercia, coraggioso come un leone, astuto come una volpe». Graziani lo catturò nel settembre del 1931 e lo fece impiccare quattro giorni dopo. Gheddafi adesso ci fa pagare quella crudeltà col sistema della foto. Ha visto in televisione il povero vecchio a cui hanno fatto scendere a gran fatica la scaletta dell’aereo? il figlio di Mukhtar, Mohamed Omar.
• Non era una visita di cortesia? Che senso hanno queste provocazioni?
L’Italia dei Valori ha attaccato Berlusconi per aver tollerato la foto. Ma a dire la verità l’avrebbe tollerata soprattutto Napolitano, che è stato mezz’ora a fianco del leader libico e ha fatto finta di non vedere. Andreotti ha commentato: «Ma lasciamo perdere, è roba del passato, pensiamo al futuro». Murdoch però, pur di fare un dispettuccio al Cavaliere, s’è buttato su Mukhtar e stasera alle 21 trasmette su Sky Cinema Classic Il leone del deserto, un film finanziato da Gheddafi nel quale si vede Anthony Quinn-Mukhtar combattere i cattivi italiani. Nel 1982 il nostro ministero giudicò la pellicola offensiva e ne impedì la circolazione. Però gli storici dicono che i fatti sono stati ricostruiti correttamente. Secondo me, Gheddafi ha preparato questo arrivo spettacolare a uso interno: la televisione libica lo segue sempre passo passo, quando sale in macchina, quando esce di casa, mentre parla in una fabbrica o in una biblioteca. Figuriamoci cosa non avrà montato prendendo spunto dalla super-divisa e dalla foto. Gheddafi però ha poi parlato con molta moderazione: «l’Italia non è più quella», «siamo amici», eccetera.
• C’è di mezzo la faccenda dei clandestini.
Lui e Berlusconi ne hanno discusso già ieri pomeriggio. Benché il colonnello non sia troppo affidabile, l’accordo finito di sottoscrivere sei mesi fa ha l’aria di funzionare: pattuglieremo insieme le coste, con l’obiettivo di fermare i clandestini in mare e consegnarli alla marina libica che li ricondurrà in patria. Si deve tener conto che la Libia, con appena sei milioni di abitanti, è a sua volta terra di immigrazione, fatto che ha generato una forte corrente xenofoba anche laggiù. Tripoli ha in parte i nostri stessi problemi, compreso quello dei campi profughi e dei centri di accoglienza. Il regime, chiaramente, non rispetta i diritti umani in generale e meno che mai li rispetta nei campi profughi. L’idea di far parlare il colonnello in Senato è stata fortemente contestata e alla fine la conferenza dei capigruppo ha deciso di ospitarlo non più in aula, ma nella Sala Zuccari. D’Alema aveva detto che, per lui, Gheddafi avrebbe anche potuto parlare in aula, anche perché capo dell’Unione africana. D’accordo con lui Marini e Bossi. Il resto del Pd è invece insorto, come Di Pietro. Un paio di radicali fanno lo sciopero della fame. Sono tutte manifestazioni comprensibili, ma che prescindono dall’importanza degli accordi sottoscritti e dal fatto che i libici hanno intenzione di portar da noi parecchi soldi.
• La Juventus?
Di quella – e della Fiat – hanno già una quota da parecchio tempo. No, parlo del 4,23% di Unicredit preso dalla Lafico e dalla Central Bank of Libya, dell’intenzione di investire nell’Eni salendo in tre tappe al 10%, di almeno un 2% di sottoscrizione dell’aumento di capitale Enel, varato, non dimentichiamolo, per abbattere un debito eccessivo di 61 miliardi, dell’Ubae, banca a capitale misto italo-arabo. Le società di Gheddafi vogliono anche entrare in Telecom, dove bilancerebbero la presenza degli spagnoli di Telefonica, in Impregilo, in Terna, in Generali e in un mucchio di altre aziende piccole e grandi.
• Non ci ha detto niente della tenda.
Gheddafi non dorme lì, ma nel seicentesco casino del Bel Respiro, capolavoro dell’Algardi. La tenda beduina, me lo lasci dire, è piena di fascino: 12 poltrone dai piedi dorati, divanetti, lampade al neon, tavoli, stufe elettriche e grandi incensieri per profumare l’ambiente. Dalle aperture laterali, poi, lo spettacolo del parco dei Doria Pamphili. Sembra impossibile che l’uomo con quella divisa da circo equestre abiti in un posto simile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/6/2009]
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