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 2009  giugno 11 Giovedì calendario

MARIA GRAZIA MEDA PER L’ESPRESSO 11 GIUGNO 2009

Siamo buoni o cattivi? Domanda scomoda. Ma la suscita tutto quello che abbiamo intorno. L’insofferenza verso chi soffre. L’imbarbarimento generale. L’indifferenza, nel migliore dei casi. Le nostre società, apatiche e insieme feroci. Le risposte sono molte. E tutte spiacevoli

"Una volta i depressi scrivevano poesie. Oggi rompono i coglioni a noi". uno dei commenti apparsi sul blog degli utilizzatori Ratp, la rete metropolitana di Parigi, scritto da un passeggero infuriato dall’interruzione del traffico a causa di un ’incidente umano’, termine pudico per segnalare un suicidio. Non è un commento isolato: con un centinaio di ’incidenti umani’ all’anno (per la Ratp 60, per l’associazione passeggeri 200) è capitato a tutti di aspettare invano sulla banchina e ascoltare i commenti feroci dei passeggeri: nessuna pietà, solo enorme insofferenza. Tipico. Di una società sempre più anestetizzata, insofferente, incattivita.
Siamo davvero più cattivi? ’Finalmente cattivi’, come ha titolato il quotidiano ’Libero’ il 14 maggio, salutando con soddisfazione il pacchetto sulla sicurezza? Nel mondo anglosassone, dove i concetti di bontà e cattiveria sono presi sul serio, si discute molto di bontà. Meglio: della sua necessaria rivalutazione, contro la cattiveria che sembra permeare oggi le relazioni. "Abbiamo disimparato l’empatia", sostiene JD Trout, autore del saggio ’The empathy gap’ e docente di filosofia alla Loyola University di Chicago, secondo cui società e istituzioni hanno il dovere di promuovere tutte le forme di generosità e solidarietà possibili, per contenere gli atteggiamenti egoistici insiti nella natura umana.
Come spiegare a Trout che nessuna legge può combattere i tanti gesti quotidiani di inciviltà? Un esempio, pescato ancora nel vasto universo dei trasporti e documentato sul blog newyorkese ’peoplewhositinthedisabilityseatswhenimstandingonmycrutches.com’. L’autore, piede ingessato e stampelle, si piazza davanti ai posti assegnati ai disabili ma occupati da persone sane. Che fingono di non vederlo. Lui, giorno dopo giorno, li fotografa col cellulare, postando poi sul suo blog quei volti apatici, a volte ostili, quasi sempre indifferenti.
Come ci siamo arrivati? Tentano una risposta due libri freschi di stampa: ’Born to be good’’, in cui Dacher Keltner ribadisce il concetto rousseauiano dell’uomo naturalmente buono ma corrotto dall’ambiente, e il saggio ’Elogio della gentilezza’, da poco uscito da Ponte alle Grazie. Gli autori, lo psicologo Adam Phillips e la storica Barbara Taylor, cercano di capire perché nel corso del tempo la gentilezza, intesa come empatia, condivisione, generosità, altruismo, bontà, sia diventata un disvalore. "Una società come la nostra, che promuove il valore della competizione e quindi si basa sulla divisione tra vincitori e vinti, non può che generare cattiveria", sostiene Taylor: "La gentilezza, o bontà, è diventata la qualità dei vinti". Per la Taylor però la gentilezza sarà in futuro rivalutata come anticorpo alla cattiveria: "Ho letto l’autobiografia di Obama e ascoltato i suoi discorsi: non parlano d’altro". Laboratori di ricerca Usa, infatti, hanno individuato le sue parole chiave: cambiamento, generosità, sacrificio, abnegazione. "Tutte qualità obsolete, finora, nel nostro mondo votato all’individualismo assoluto", dice Taylor.
"Non penso che siamo più cattivi rispetto al passato, ma che la nostra percezione della cattiveria sia cambiata", suggerisce invece Stéphane Audeguy, autore de ’La teoria delle nuvole’ (Fazi). "Il nostro narcisismo ci rende fragili, vulnerabili allo sguardo altrui. Abbiamo costantemente bisogno di approvazione e affetto, e se non li otteniamo ci convinciamo di essere circondati da gente malvagia. Certo, la competitività che sembra regolare oggi i rapporti non aiuta. Sarebbe interessante osservare i comportamenti delle persone in open space, per studiare i meccanismi della cattiveria".
Già fatto. Recenti indagini dimostrano che non solo riduce la produttività, ma induce stress diffuso e comportamenti ostili. "Non mi stupisce", interviene Juliette Tournand, coach di top manager e sportivi nella vela e in Formula 1: "Nega quel minimo di privacy necessaria all’individuo per sentirsi al sicuro".
 solo una questione di sicurezza? Se ci si sente al sicuro non ci si incattivisce? "Qual è la radice di questo termine?", fa notare lo psichiatra infantile Aldo Naouri, autore di ’Rieducare i figli’’ (Rizzoli): "Il latino captivum, prigioniero. Abbiamo comportamenti cattivi perché siamo prigionieri delle nostre pulsioni. Invece di educare ai nostri figli una sana, necessaria dose di frustrazione rimettendo un po’ di autorità nelle relazioni, li abituiamo ad avere tutto subito. Ma la soddisfazione di tutti i desideri - quindi delle pulsioni - crea dei mostri di perversione, egoisti immaturi che non hanno la minima considerazione per il prossimo". Il problema, per Naouri, non tocca solo le giovani generazioni: "Quando il presidente Nicolas Sarkozy si permette in pubblico di urlare a un manifestante ’casse-toi pauv’ con’ (’sparisci, coglione’), è chiaro che la nostra società egocentrica ha dimenticato l’esistenza degli altri. Per non parlare delle regole più basilari del saper vivere".
D’accordo il romanziere Peter Stephan Jungk: " un’idea che mi piacerebbe sviluppare in un romanzo: l’uomo nasce cattivo, poi l’educazione, la cultura, il vissuto concorrono a renderlo decente. Senza garanzie, però". Jungk è l’autore di ’The Perfect American’’, biografia romanzata di Walt Disney che diventerà un’opera messa in musica da Philip Glass. Il libro svela il lato oscuro e cattivo del papà di Topolino: "Per noi scrittori è molto interessante esplorare la cattiveria, le sfaccettature e le ambiguità di un personaggio". Infatti: la cifra della post-modernità è un’umanità che accetta la propria ambiguità, sostiene il sociologo Michel Maffesoli, il cui ’Iconologie’ è uscito da Sellerio: "La separazione manichea tra bene e male è superata: uno degli elementi della post-modernità è che la società è al contempo buona e cattiva. Genera personaggi come Madoff e allo stesso tempo grandi slanci caritativi. Riconosciamo insomma nell’uomo quella parte di animalità che avevamo cercato di cancellare. Io penso che assisteremo a una rivincita dei valori del Sud: emergerà cioè alla fine il modello di una società dove convivono altruismo ed egoismo, generosità e furbizia, cattiveria e bontà: proprio come accade nel sud dell’Italia".
"A Napoli per dire che uno è fesso usiamo l’espressione ’tre volte buono’", commenta l’antropologo Marino Niola. E fa notare che nell’Italia dei furbetti, l’ingenuità intesa come sincerità, il credere in quello che si dice, è un disvalore: "Siamo parte di una cultura cattolica che insegna che si può fare di tutto, a condizione di pentirsi". Per Niola l’incattivimento diffuso è anche reazione al buonismo e al politically correct: "Ampiamente motivata: il buonismo è tutto fuorché buono. Pensiamo di attenuare la realtà con parole belle e buone, in realtà è sostituzione delle parole alle cose. Sì, ci stiamo incarognendo. Per il contesto in cui viviamo, che ci rende più insicuri, spaventati.
E, come diceva Sofocle, ’Per chi ha paura tutto fruscia’. Chi è spaventato è più cattivo: siamo soli e il vicino, l’altro, diventano necessariamente dei nemici. La solidarietà viene meno e lascia il posto a un’animosità che spesso diventa modus vivendi, connota anche i rapporti personali. Un po’ come se avessimo due software che funzionano alternativamente, della bontà e della cattiveria, ciascuno attivato dalle circostanze. Siamo tranquilli, sicuri e meno soli? Ci possiamo consentire la bontà. Se invece ci sentiamo minacciati, si attiva il software cattivo. Diventiamo homo homini lupus".
Il concetto hobbesiano sembra aver trovato un drammatico riscontro nel capitalismo finanziario e nel suo più mediatico rappresentante, Bernard Madoff. Il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, oggi sul lastrico a causa di Madoff, l’ha definito non solo un ladro, ma anche "un mascalzone, un furfante, un cattivo". Ma Madoff è davvero cattivo, o piuttosto è il più geniale e maledetto figlio del capitalismo finanziario, sistema che per molti ha creato le condizioni di un incattivimento di tutta la società? "Viviamo in un mondo sempre più duro nei confronti della vita tout court", commenta il filosofo Miguel Benasayag, autore di ’Elogio del Conflitto’’ (Feltrinelli): "Siamo schiacciati dalla violenza della nuova natura dell’economia, la cui parola d’ordine è ’adattati alla realtà o muori (e sarà colpa tua)’. Vogliono convincerci che la flessibilità nel mondo del lavoro è sinonimo di libertà, ma cambiare mestiere continuamente perché non si ha scelta è la definizione aristotelica della schiavitù. Una società fondata su questi valori è cattiva".
Juliette Tournand concorda, ma pensa che, almeno in ambito lavorativo, il tempo della cattiveria sia già alle nostre spalle: "Il mondo della finanza è stato l’ultimo luogo della guerra di tutti contro tutti. Il cinismo di questi decenni ci ha portati a credere che competitività equivalga a farsi la guerra, ma questo è un errore: in guerra si va per distruggere l’altro, mentre si compete per essere migliori. Oggi cominciamo a capire che la competizione senza la cooperazione conduce alla catastrofe".
Anche nella sfera privata, però, il disagio è profondo. I dati Istat confermano che i casi di violenza coniugale, fisica o psicologica, sono in costante aumento, come i casi di bullismo e violenza gratuita nelle scuole. Li scopriamo con orrore su YouTube, vedi il caso del bambino disabile maltrattato di fronte a tutta la classe in un liceo torinese. "Raccogliamo ciò che abbiamo seminato", ribadisce Naouri: "Adolescenti perversi che non conoscono il significato del divieto e non riconoscono autorità". E aggiunge che questo riguarda maschi e femmine indifferentemente: lo conferma il caso genovese della ragazzina picchiata dalle compagne di scuola di fronte a un gruppo di ragazzi che assistevano divertiti. "Da molte parti ci si chiede se il mondo andrebbe meglio se ai comandi ci fossero delle donne", interviene Barbara Taylor: "Non ho risposte certe, ma è interessante notare come, a partire dall’epoca vittoriana, i concetti di gentilezza ed empatia siano diventati qualità femminili, quindi qualità inferiori. Bontà e cattiveria prescindono dal genere, e la cattiveria può diminuire solo a condizione di essere meno individualisti. Di imparare a metterci al posto dell’altro".
Ma ne siamo capaci? Quando uno Stato ipotizza di chiedere ai medici di denunciare i malati senza permesso di soggiorno, quando, come in Francia, considera reato dare un letto e un pasto a un clandestino, come metterci al posto dell’altro? "Siamo diventati più cattivi", risponde Maurizio Bergamaschi, docente di sociologia dei servizi sociali, siamo sempre meno disponibili ad accettare forme di vita che, anche se non pongono un problema di sicurezza e ordine pubblico, a questo vengono ricondotte. Gli episodi di violenza nei confronti degli immigrati, delle persone più deprivate, sono sì fenomeni estremi, ma di una tensione collettiva. Di un sentire comune, che esprime distanza e intolleranza alla presenza di questi sul proprio territorio". Poche settimane fa è uscito l’atteso nuovo saggio di Régis Debray, intitolato ’Le moment fraternité’ (Gallimard). Nel presentarlo, l’autore ha spiegato che mai come oggi è necessario accettare la diversità come un fatto e non un valore e come sia vitale "formare una famiglia con chi non è della famiglia, perché nessuno può sopravvivere in un mondo dominato dall’egoismo".