Vittorio Feltri, Libero 11/6/2009, 11 giugno 2009
No, è garante nel Partitone del Cavaliere - Caro Marcello, comprendo la tua delusione e persino le critiche aspre che vengono dal profondo del cuore e che rivelano sentimenti e ragionamenti covati a lungo
No, è garante nel Partitone del Cavaliere - Caro Marcello, comprendo la tua delusione e persino le critiche aspre che vengono dal profondo del cuore e che rivelano sentimenti e ragionamenti covati a lungo. Ma non sono d’accordo con certe valutazioni. Ho l’impressione sia diventata una moda, nella destra, esprimersi con parole dure contro il presidente della Camera, specialmente da quando è nato il PdL e lui si è dovuto necessariamente defilare, senza però rinunciare alle sue idee, condivisibili o no. Diffido delle mode e istintivamente le rifiuto. Non bene quanto te, conosco Gianfranco da circa vent’anni. Erano i tempi del Msi che lui ereditò giovanissimo da Giorgio Almirante, bravo finché vuoi ma di stampo antico, oso dire superato non tanto per questioni di età bensì culturali. Fini all’inizio gestì il fardello nel segno della continuità, e non avrebbe potuto fare diversamente perché l’imperativo era mantenere (...) (...) le posizioni elettorali, guadagnarsi la fiducia degli iscritti, conservare un patrimonio ideale (a me estraneo, lo confesso) e tentare di conquistare le nuove generazioni. A mio giudizio non sbagliò nulla. Poi, nei primi anni Novanta, fiutò l’aria, si predispose a mutare rotta e con cautela modificò itinerario puntando su altre destinazioni. Tolse al partito una coltre di polvere, chiuse in cantina il vecchio arsenale simbolico ma non lo distrusse. Era giunta l’ora di eliminare la camicia nera e di indossare quella oxford. Conta anche l’esteriorità. Nell’ambiente si dice che il resto - il salto dal Msi ad An - fu opera di Tatarella sulle cui qualità politiche non ci sono mai stati dubbi. Non so se il fautore della metamorfosi sia stato soltanto lui, non credo. Però, se anche fosse, bisogna sottolineare che la decisione di procedere spettava a Fini. E Fini se ne assunse pubblicamente la responsabilità. Ti pare poco? La statura del capo si misura anche dalla capacità con cui questi si sceglie i consiglieri migliori e ne ascolta i suggerimenti al momento opportuno. Quindi se Gianfranco avesse fondato An su esortazione di Tatarella, e non per iniziativa propria, andrebbe comunque lodato, non biasimato. In politica come in tutto, più che le intenzioni valgono i risultati. E in questo caso il risultato è firmato Fini. Che, non dimentichiamo, portò il partito oltre la soglia del 15 per cento. Non va sottostimata neppure l’alleanza, nel 1994, con Silvio Berlusconi, all’epoca un signor nessuno nel circo della politica, mettersi col quale (in compagnia di Bossi) era un azzardo. Nella circostanza Fini non fu soltanto coraggioso ma anche lungimirante. Gliela vogliamo dare almeno questa medaglia? Per tre volte il centrodestra ha vinto le elezioni, e Gianfranco ha sempre fornito un contributo determinante. Ci fosse stato qualcuno più avveduto di lui, in grado di sostituirlo, immagino si sarebbe fatto avanti. Non mi pare ciò sia avvenuto. E non vedo giganti spuntare all’orizzonte. Obietterai: ha fatto quasi tutto Berlusconi. vero. Ma senza An e il suo presidente-fondatore, Silvio non sarebbe arrivato al 51 per cento. Le coalizioni si formano se conviene. Quando la Lega uscì dal Polo non si raggiunse la maggioranza. Lo stesso sarebbe accaduto se anziché Bossi, se ne fosse andato Fini. Il quale ha litigato spesso col premier, ma non ha sbattuto la porta, come avrebbero preteso molti colonnelli, ed è rimasto lì preoccupandosi del bene comune coincidente col suo, ovvio. Dopo il discorso del predellino in San Babila a Milano, Fini si è allontanato causa irritazione, poi però al tirar delle somme rieccolo al suo posto, pronto alla fusione di An e Forza Italia pur consapevole che ciò avrebbe provocato il suo appannamento. Tu cosa avresti fatto nei suoi panni? Adesso c’è il partito unico. Siamo felici e contenti. Ma che significa unico? Un capo, un pensiero, il Suo, tutti uguali e in divisa, signorsì signor padrone? Non mi pare sia questo il modello giusto. Nelle grandi formazioni politiche la diversità su vari temi è una ricchezza e non va sacrificata in nome dell’unanimismo, perché gli elettori non hanno tutti la stessa testa. Esemplificando, ci sono i cattolici e i laici. Vanno tollerate entrambe le categorie. Fini è cristiano ma preferisce uno Stato che non sostituisca le sue leggi con il catechismo. Anch’io sono amico del parroco eppure non gli permetto di comandare in casa mia così come non mi sogno di comandare in casa sua. Il prevosto è contro l’eutanasia; io no. Dovrei cambiare opinione per fargli piacere? Anche per me le leggi razziali furono il Male assoluto. Come Fini sono filo-israeliano e non me ne vergogno. Sono persuaso che gli immigrati con dimora e lavoro e fedina penale linda vadano ammessi al voto amministrativo. Caspita, queste sono cose normali, ed è normale che Gianfranco le predichi senza essere accusato di tradimento. Si può essere di destra e non fascisti, di destra e laici come Mussolini. Fini non è mai stato fascista; era ed è un radicale destrorso. La sua presenza nel PdL è una garanzia che nel partitone berlusconiano ha diritto di cittadinanza la libertà di pensiero; e una consolazione per chi detesta ogni conformismo che fa rima con opportunismo. Voto Berlusconi perché sono rassicurato da Fini che non deve inventare niente ma seguitare a essere sé stesso; non uno speaker del capo bensì un radicale di destra che non porta il cervello all’ammasso. Ultima nota. Lui sa benissimo che il Parlamento va riformato, reso più moderno, snello e rapido nel promuovere o bocciare i provvedimenti. Come presidente della Camera, esige tuttavia l’ossequio alle istituzioni. Finché sono queste. E quando cambieranno, idem.