FABRIZIO MASSARO E ROBERTO SOMMELLA, MILANO FINANZA 11/6/2009, 11 giugno 2009
Anche a Gheddafi piace Enel verde - Gli sarà pure stata negata l’aula del Senato, ma il colonnello Muammar Gheddafi può rincuorarsi: la sua storica visita ufficiale in Italia, iniziata ieri a Roma in un contesto da film felliniano, ha solo una facciata formale che può magari far sorridere gli ingenui
Anche a Gheddafi piace Enel verde - Gli sarà pure stata negata l’aula del Senato, ma il colonnello Muammar Gheddafi può rincuorarsi: la sua storica visita ufficiale in Italia, iniziata ieri a Roma in un contesto da film felliniano, ha solo una facciata formale che può magari far sorridere gli ingenui. La realtà è che in gioco ci sono interessi, reciproci, per decine di miliardi di dollari. E, in primis, dopo l’operazione Unicredit, dove la Central Bank of Libia è diventata il secondo azionista e ha conquistato la vicepresidenza per il governatore della banca centrale Farhat Omar Bengdara, c’è il dossier energia. Il Paese libico, che già questo inverno ha mostrato interesse a salire nel capitale dell’Eni (dove sarebbe già con una quota sotto il 2%), si starebbe concentrando sull’altro colosso dell’energia tricolore: l’Enel. Innanzitutto c’è in ballo la partecipazione all’aumento di capitale da 8 miliardi varato dal gruppo guidato da Fulvio Conti, come rivelato dall’ambasciatore a Roma, Hafed Gaddur. Nelle scorse settimane l’ad dell’Enel è volato a Tripoli per incontrare il ministro della Pianificazione e capo della Lybian investment authority, Abdulhafid Zlitni (una sorta di Gianni Letta libico). La quota dovrebbe essere attorno al 2%. Ma c’è anche un altro dossier caldo: quello di Enel Green Power, il gioiello verde che opera nelle energie rinnovabili e che intende vendere il 49% del suo capitale per un valore che oscilla tra i 5 e 7 miliardi. Nella dozzina di soggetti interessati all’azienda ecologica di Fulvio Conti ci sarebbe proprio la Libia, a questo punto in buona compagnia dei cinesi della China investment corporation (Cic) e di un nutrito gruppo di fondi sovrani arabi (anche se Mubadala ed Adia hanno sempre smentito la formalizzazione di specifici memorandum di interesse). proprio l’energia uno dei temi più delicati che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il leader della Jamahiriya hanno affrontato nel loro incontro di ieri. «Abbiamo iniziato a parlare di forniture di energia, e abbiamo detto che intendiamo ampliare la quantità di queste forniture» dalla Libia verso l’Italia, ha detto ieri sera il premier nella conferenza stampa congiunta. La Libia fornisce all’Italia «più del 60%» del fabbisogno energetico, ha ricordato Gheddafi, che ha assicurato: «Le porte sono aperte alle aziende italiane in Libia». Nel colloquio Berlusconi e il leader libico hanno discusso delle facilitazioni per le imprese italiane che vorranno investire nel Paese nordafricano, in particolare nel settore infrastrutture, che il Colonnello ha intenzione di sviluppare: «Ci ha detto in modo esplicito che le imprese italiane saranno in prima fila», ha spiegato Berlusconi. Fra queste società ci sono sicuramente quelle di impiantistica, come Maire Tecnimont e Saipem. Sono fra le due aziende italiane che parteciperanno alla riunione ristretta organizzata con Gheddafi dalla Confindustria, in calendario per domani. Della partita fa parte anche Impregilo, una delle società sulle quali i libici avrebbero messo da tempo gli occhi per rilevare una partecipazione importante, visti anche i movimenti nell’azionariato e la presenza di una joint venture in Libia (vedere altro articolo in pagina). Oltre ai danni di guerra che i protocolli siglati mesi fa dalle due cancellerie hanno cominciato a estinguere, gli accordi tra Roma e Tripoli prevedono progetti infrastrutturali per 5 miliardi di dollari in 20 anni da realizzare nel Paese nordafricano, come l’autostrada da 1.200 km che attraverserà il Paese, mentre i fondi libici avrebbero da spendere diverse decine di miliardi di dollari in aziende italiane. La finanza giocherà in tutto questo scacchiere un ruolo fondamentale. Non a caso alla cena ufficiale offerta ieri dal governo italiano avrebbe preso parte anche il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca (la banca d’affari che accompagna la Libia in Italia) e trait d’union fra Gheddafi e Berlusconi. Un legame, quello con Piazzetta Cuccia, rinsaldato dalla presenza di Marco Tronchetti Provera, vicepresidente della merchant bank, come membro dell’advisory board della Lia, con l’incarico di seguire gli scenari europei.