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 2009  giugno 11 Giovedì calendario

L’ITALIA FEUDALE MEGLIO DELL’AMERICA?


Caro Direttore, chiedo a lei esperto di vita americana, come definirebbe la società statunitense, anche se mi rendo conto della sua complessità. Questa mia curiosità deriva dall’avere letto sul New York Times la definizione della società italiana come una società feudale sia pure altamente evoluta. Capisco che agli americani possa risultare incomprensibile ad esempio come possano ancora essere eletti alle recenti elezioni dei veri brontosauri della politica mentre ritengo che sulla amoralità di certi personaggi non ci possano dare lezioni così come sul «respingimento» degli immigrati clandestini. Malgrado tutto, e malgrado la malavita organizzata, preferisco vivere in un paese che possiede ammortizzatori sociali e una sanità efficiente per tutti: il paziente che giunge in un nostro pronto soccorso con infarto miocardico acuto riceve la migliore e costosa terapia possibile, senza che nessuno gli richieda la carta di credito. Ultima recente «perla» statunitense in questo campo (40 milioni di non assicurati o sottoassicurati): un consorzio di 5 cliniche di New York ha offerto assistenza ai non assicurati per 79 dollari al mese ed è stato per questo citato in giudizio da società assicuratrici!

EUGENIO USLENGHI


Definirei la società americana «mobile», per utilizzare una sola parola, socialmente ed economicamente mobile. Questo naturalmente ha grandi pregi e grandi difetti. Negli Stati Uniti si può perdere il lavoro in un giorno e trovarsi improvvisamente in mezzo ad una strada ma anche ritrovarlo in un tempo che da noi è sconosciuto; ci sono meno tutele e difese ma si assiste a rivoluzioni in campo scientifico o politico che possono accadere solo in un Paese giovane che mantiene un sano spirito di avventura. La burocrazia ha tempi rapidi e certi: le mie figlie, che sono nate a New York, hanno ottenuto il loro passaporto dopo meno di due settimane di vita ed è arrivato a casa per posta. Per avere quello italiano abbiamo impiegato il triplo del tempo. Vivendo in America mi sono stupito visitando università dove i laboratori di ricerca erano pieni di giovani di tutto il mondo, che avevano trovato possibilità e finanziamenti che non avrebbero mai ottenuto nei loro Paesi. Ho conosciuto immigrati di prima generazione che avevano coronato i loro sogni, ma ho visto anche l’umiliazione delle espulsioni di chi, pur lavorando onestamente da anni e avendo messo al mondo figli «americani», era rimasto illegale e clandestino. Il tasto più dolente è certo quello della sanità: ho avuto ottime cure, ma avevo l’assicurazione, mentre la baby sitter delle mie bambine, che faceva parte di quei 40 milioni di cittadini che la copertura sanitaria non se la poteva permettere, non era in grado di far mettere l’apparecchio per i denti alle sue figlie. E se ne vergognava. Obama ha vinto le elezioni anche per aver promesso al suo popolo che un genitore non dovrà più temere per la salute dei figli e non dovrà scegliere tra un esame del sangue e un nuovo paio di scarpe da tennis. In Italia siamo molto più tutelati ma abbiamo smarrito la voglia di rischiare. In questo senso, mentre l’America di Obama cerca di diventare un po’ europea, noi faremmo bene a farci contaminare dalla voglia di scommettere sul futuro.