Marco Magrini, ཿNova 11/6/2009;, 11 giugno 2009
UNA SCOMMESSA SULLA SABBIA, IL SILICIO DALLA A ALLA Z
Fareste una scommessa sulla sabbia? La norvegese Rec Group l’ha fatta. Partendo dalla sabbia, che è la comune e più abbondante sorgente di silicio, il gruppo guidato da Ole Enger (
nella foto) è specializzata nelle prime tre trasformazioni industriali della catena che porta dalle sponde del mare fino ai pannelli solari. Ovvero, la purificazione del silicio, la fusione in lingotti e – passaggio tecnologicamente più complesso – il taglio di sottilissime fette, i cosiddetti wafer, che poi diventeranno celle solari.
«La società è leader mondiale nel silicio e nei wafer per usi fotovoltaici », spiega Ivano Zanni, country manager per l’Italia della Rec Solar. «Ma siamo anche attivi nelle celle solari e nei moduli per il mercato finale». Un gruppo integrato. Una vera e coraggiosa scommessa sulla sabbia.
La storia risale al 1996, quando viene fondata la Fornybar Energi, società di diritto norvegese che si occupa di investimenti nelle energie rinnovabili. Ma è solo nel 2000 che nasce ufficialmente la Rec, dalla fusione si Fornybar con ScanWafer e ScanEnergy, con l’intento di allargare progressivamente le attività su tutti i rami del fotovoltaico.
Per un’azienda che dice di voler diventare «il principale fornitore mondiale di soluzioni solari altamente competitive», la struttura è già piuttosto globale. Il quartier generale è a Oslo. Il silicio viene purificato nei due stabilimenti americani, uno nello Stato di Washington e uno nel Montana, entrambi eredità di un’acquisizione. I wafer vengono prodotti in due stabilimenti norvegesie le celle in un’altra fabbrica, sempre in Norvegia. Infine, i moduli vengono assemblati in Svezia. «All’inizio dell’anno prossimo – spiega Zanni – inaugureremo un impianto a Singapore, che avrà una capacità produttiva di 800 megawatt».
Il Rec Group è diviso in tre società operative, una per ogni business: Rec Silicon, Rec Wafer e Rec Solar. Nel 2008, il fatturato del gruppo – che da un paio d’anni è quotato alla Borsa di Oslo ”ha toccato gli 8,2 miliardi di corone norvegesi ( 920 milioni di euro), con un utile lordo di 4,3. Nell’esercizio in corso, non andrà altrettanto bene. «La domanda di prodotti solari è attualmente debole, per via delle incertezze economiche e la scarsa disponibilità di finanziamenti per nuovi progetti di investimento», ha dichiarato recentemente l’azienda, nel giustificare un aumento di capitale e le prospettive temporaneamente peggiorate. Ovviamente, tanto per Rec che per i concorrenti.
Se fosse davvero una scommessa sulla sabbia, sarebbero guai seri. Ma la scommessa del gruppo norvegese – fatta anni addietro con una chiara visione del futuro – è sull’energia solare, che è addirittura più abbondante del silicio: dal sole, piove sulla Terra oltre 10mila volte il fabbisogno energetico del genere umano • «NASCERE IN GERMANIA STATO UN VANTAGGIO COMPETITIVO» - Quando Anton Milner ha co-fondato la Q-Cells, non avrebbe mai immaginato di sfondare il miliardo di euro di fatturato, in soli dieci anni. «Quando abbiamo cominciato, nel novembre del ’99 – racconta – eravamo in quattro, con in mano il corrispondente di 60mila euro. Dovevamo ancora mettere in piedi la produzione da zero e avevamo bisogno di 10 o 15 milioni di euro ». Il vero esordio risale al luglio del 2001, quando dalla linea di produzione esce la prima cella della Q-Cells, peraltro difettosa. Oggi, l’azienda di BitterfeldWolfen, nella Sassonia Anhalt, è la prima produttrice al mondo di moduli solari, con una reputazione per la qualità.
Ripensandoci, i punti di forza sono stati tre. «Prima di tutto, ci siamo concentrati sulla ricerca e lo sviluppo della tecnologia. Poi, siamo stati capaci di introdurre nuovi prodotti che sono diventati uno standard di mercato. Infine, abbiamo avuto la possibilità di crescere molto velocemente perché eravamo di casa nel mercato giusto: la Germania». Secondo Milner, questo è stato un indiscutibile vantaggio competitivo.
«Dieci anni fa – aggiunge – le aziende leader erano tutte giapponesi, perché il loro mercato era il più evoluto del mondo». Poi la Germania, grazie alle politiche del governo, ha superato il Giappone. E la Q-Cells ha avuto modo di decollare. Riusciràl’azienda di Milner – nel frattempo quotata in Borsa – a mantenere la leadership? Lui scommette di sì. «Stiamo per aprire un nuovo stabilimento in Malesia. Investiamo per migliorare la tecnologia e per ridurre i costi. E siamo entrati in nuovi settori, come i film sottili e anche nel servizio totale alla clientela: progettiamo e sviluppiamo campi solari, con assistenza e manutenzione. La parte finanziaria poi, è solida ».Ma,soprattutto,l’amministratore delegato della Q-Cells confida nella crescita del mercato. «Il fotovoltaico – commenta – è la migliore soluzione ai problemi dell’energia, incluso il riscaldamento climatico: i costi continuano a scendere e la sua adozione sarà sempre più conveniente.
Al massimo entro sei anni, produrre elettricità dal sole costerà meno che usare i combustibili fossili che riscaldano il pianeta».
La domanda di moduli solari sta crescendo ancora. I prezzi sono in flessione, ma solo per motivi contingenti (il mercato spagnolo, il più vivace dell’anno scorso, è precipitato perché il governo di Madrid ha cambiato all’improvviso gli incentivi). «Ci vogliono serie decisioni politiche – rimarca Milner – perché i Paesi si trovano costretti a intraprendere politiche climatiche che devono, per forza, cambiare gli interi sistemi energetici». Potrebbe sembrare marketing, ma Milner ci crede davvero. «Meno anidride carbonica, più posti di lavoro, apertura di un nuovo mercato. Con il sole di cui dispone, non vedo una tecnologia che potrebbe beneficiare l’Italia più del fotovoltaico» • L’IMPERO CINESE SUL QUALE IL SOLE NON TRAMONTA MAI - A
lla fiera solare di Monaco di Baviera, un dettaglio non passava inosservato: l’enorme numero di stand di imprese cinesi del fotovoltaico. Tutte imprese dalle belle speranze con un chiaro modello da imitare: la Suntech Power di Zhengrong Shi ( nella foto),
lo scienziato-imprenditore più famoso della Repubblica Popolare. Non foss’altro perché è uno degli uomini più ricchi della Cina. E perché la Suntech capitalizza due miliardi di dollari a Wall Street, dov’è quotata dal 2005.
«La società – racconta un entusiasta Jerry Stokes, vicepresidente della Suntech, incaricato delle strategie internazionali – è stata fondata nel settembre del 2001, dà lavoro a 9mila persone e fattura quasi 2 miliardi di dollari, oltre la metà dei quali in Europa. Abbiamo 350 persone che lavorano alla ricerca e allo sviluppo di nuovi prodotti. Presto raggiungeremo una capacità produttiva di un gigawatt all’anno».
Tutto questo, è stato creato in pochi anni da Shi. Nato nel Yangzhong 46 anni fa, si è prima laureato in fisica a Shanghai, poi è andato in Australia per il dottorato, alla University of South Wales. lì, che si è imbattuto in Martin Green, uno dei più importanti ricercatori dell’energia solare, restando affascinato dalle prospettive della tecnologia fotovoltaica. così che, otto anni fa, Shi torna in Cina ( da cittadino australiano) e mette in piedi la Suntech, a Wuxi, non lontano da Shanghai.
Stokes ci fa vedere una gigantografia del quartier generale. Un grande e moderno palazzo di vetro con una facciata inclinata, interamente fatta – indovinate un po’ – di pannelli solari. «Sono così tanti che producono un megawatt, ovvero l’80% dei consumi energetici del palazzo». In nome della sostenibilità, lì non si usano bottiglie di plastica e si spegne la luce quando si esce dalla stanza. Qui si fabbricano i pannelli solari – sistemi composti da tante celle collegate fra loro – fra i più venduti al mondo.
Non fa meraviglia che «il dottor Shi», come lo chiamano in azienda, sia un vero apologeta dell’energia solare. «Questa è una tecnologia vecchia di 35 anni – dice Shi, incontrato non alla fiera di Monaco, ma a un convegno a Copenhagen pochi giorni prima – che è sbocciata dieci anni fa. L’efficienza del silicio sta ancora crescendo. E ogni volta che aumentiamo l’efficienza del 15%, otteniamo una riduzione del 7% nei costi. già arrivato il momento di dispiegare questa tecnologia su vasta, vastissima scala».
Ma questo non vuol dire che la Suntech Power non guardi già ancora più lontano. «Stiamo già studiando future soluzioni, come la nanoplasmonica, che promette un’efficienza nella conversione energetica fra il 30 e il 50%», assicura Stokes, un inglese manager diun’azienda che ha la chiara vocazione a de-cinesizzarsi. Non foss’altro, per diventare ancora più globale di così.