Gaetano Pecorella, La stampa 11/06/2009, 11 giugno 2009
PERPLESSO ANCH’IO MA LA NORMA E’ PIU’ RIGIDA PER COLPA DEGLI ABUSI"
Non si risparmia l’Associazione Nazionale Magistrati e parla della riforma delle intercettazioni voluta dalla destra come della «morte della giustizia penale in Italia». Giudizio sferzante che però l’onorevole Gaetano Pecorella, ex avvocato del Premier e autore di leggi, in qualità di ex presidente della Commissione giustizia (2001-2006) che pure suscitarono polemiche, tenta di smorzare, assumendo un’inedita veste di mediatore tra toghe e politica. L’allarme dei magistrati è altissimo: mai si era sentito definire una riforma «morte della giustizia penale».
«Volendo rispondere con una battuta si potrebbe dire che è difficile ammazzare un uomo morto... La verità è che si sta un po’ drammatizzando una norma che certamente è più restrittiva di prima ma dovrà essere sperimentata sul campo».
Diciamo che le premesse non sono le migliori e i paletti notevoli: non più indizi di reità ma di colpevolezza, impossibilità di utilizzare intercettazioni in inchieste diverse, sostanziale annullamento di indagini su eventuali deviazioni dei servizi segreti...Non le pare, onorevole Pecorella, che la "drammatizzazione" sia giustificata?
«In realtà basterà che il giudice dica che ha degli elementi indiziari validi ed è finita lì, potrà intercettare di nuovo. Non dimentichiamo poi che per i reati più gravi di mafia, terrorismo e o traffici umani, la norma rimane identica a prima. E per quanto riguarda l’impossibilità di passaggio tra i fascicoli, se esiste un’intercettazione che denuncia un reato, rimane la notizia criminis e la possibilità di aprire un nuovo fascicolo».
Secondo lei allora le proteste dei magistrati sono ingiustificate?
«La legge è certamente restrittiva ma perchè finora ci sono stati degli abusi. Poi vedremo in pratica cosa succederà. La vera novità è che a decidere non sarà più un giudice unico ma il tribunale. In questo modo non si potranno più fare le cosiddette "intercettazioni a strascico" ma i magistrati dovranno porsi obiettivi più mirati».
Se è vero che la legge è più restrittiva perchè risponde a una logica di presunti "abusi" commessi in precedenza, allora ha ragione il capo dello Stato quando invita i politici a non fare leggi "vendicative"?
«Quello del capo dello Stato è stato un richiamo prima di tutto ai magistrati non soltanto ad essere ma anche ad apparire indipendenti e soprattutto a dedicarsi al lavoro quotidiano e non solo alle inchieste "scoop". E’ un richiamo che si basa su un dato di fatto: ci sono magistrati che hanno scelto il protagonismo per raggiungere altri obiettivi, per altro premiati».
A chi si riferisce?
«A De Magistris, per esempio. Oppure alla carriera politica di Di Pietro. Uomini che hanno usato il loro potere istituzionale per arrivare altrove. Mentre di un magistrato non si dovrebbe nemmeno conoscere il nome».
Napolitano però ha parlato anche ai politici.
«Sì, è stato un richiamo opportuno. Direi per rispondere agli attacchi di alcuni personaggi della politica e al fatto che si vada a degli eccessi con il rischio di varare riforme non condivise».
Certo che questa riforma non sembra pensata per aiutare il dialogo tra le parti...
«Anch’io personalmente ho delle riserve su alcuni punti di questa riforma. Ma, lo ripeto, è la risposta a un uso incontinente e propagandistico di intercettazioni-gossip. Indubbiamente è una legge che nasce da una situazione di non normalità: le intercettazioni dovrebbero essere rare e non pubblicate se non dopo il loro utilizzo al processo: regole che già esistono e nessuno rispetta più».
Parlarne con i magistrati invece di combatterli?
«In un paese normale dovrebbe essere così. Ma siamo in un paese normale?»