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 2009  giugno 11 Giovedì calendario

Spettacoloso arrivo di Gheddafi a Roma. Non solo per la tenda da 60 metri quadri fatta piazza­re a Villa Pamphili (quella lo se­gue sempre, tutte le volte che va all’estero) e forse neanche per le donne-soldato che gli fanno da guardie del corpo

Spettacoloso arrivo di Gheddafi a Roma. Non solo per la tenda da 60 metri quadri fatta piazza­re a Villa Pamphili (quella lo se­gue sempre, tutte le volte che va all’estero) e forse neanche per le donne-soldato che gli fanno da guardie del corpo. Ma per l’uni­forme con cui s’è mostrato a Ciampino e specialmente per la foto in bianco e nero appesa al petto a mo’ di decorazione. Una cosa che non s’era mai vista.

Che cosa diavolo rappresenta­va?
L’eroe Omar al-Mukhtar in cate­ne. Lo circondano i soldati fasci­sti. Mukhtar combatteva con­tro di noi, che eravamo gli inva­sori. I libici lo cantavano «forte come una quercia, coraggioso come un leone, astuto come una volpe». Graziani lo catturò nel settembre del 1931 e lo fece impiccare quattro giorni dopo. Gheddafi adesso ci fa pagare quella crudeltà col sistema del­la foto. Ha visto in televisione il povero vecchio a cui hanno fat­to scendere a gran fatica la sca­letta dell’aereo? il figlio di Mukhtar, Mohamed Omar.

Non era una visita di cortesia? Che senso hanno queste provo­cazioni?
L’Italia dei Valori ha attaccato Berlusconi per aver tollerato la foto. Ma a dire la verità l’avreb­be tollerata soprattutto Napoli­tano, che è stato mezz’ora a fianco del leader libico e ha fat­to finta di non vedere. Andreot­ti ha commentato: «Ma lascia­mo perdere, è roba del passato, pensiamo al futuro». Murdoch però, pur di fare un dispettuc­cio al Cavaliere, s’è buttato su Mukhtar e stasera alle 21 tra­smette su Sky Cinema Classic Il leone del deserto, un film finan­ziato da Gheddafi nel quale si vede Anthony Quinn-Mukhtar combattere i cattivi italiani. Nel 1982 il nostro ministero giudicò la pellicola offensiva e ne impe­dì la circolazione. Però gli stori­ci dicono che i fatti sono stati ricostruiti correttamente. Se­condo me, Gheddafi ha prepa­rato questo arrivo spettacolare a uso interno: la televisione libi­ca lo segue sempre passo passo, quando sale in macchina, quan­do esce di casa, mentre parla in una fabbrica o in una bibliote­ca. Figuriamoci cosa non avrà montato prendendo spunto dal­la super-divisa e dalla foto. Gheddafi però ha poi parlato con molta moderazione: «l’Ita­lia non è più quella», «siamo amici», eccetera.

C’è di mezzo la faccenda dei clandestini.
Lui e Berlusconi ne hanno di­scusso già ieri pomeriggio. Ben­ché il colonnello non sia troppo affidabile, l’accordo finito di sottoscrivere sei mesi fa ha l’aria di funzionare: pattugliere­mo insieme le coste, con l’obiet­tivo di fermare i clandestini in mare e consegnarli alla marina libica che li ricondurrà in pa­tria. Si deve tener conto che la Libia, con appena sei milioni di abitanti, è a sua volta terra di immigrazione, fatto che ha ge­nerato una forte corrente xeno­foba anche laggiù. Tripoli ha in parte i nostri stessi problemi, compreso quello dei campi pro­fughi e dei centri di accoglien­za. Il regime, chiaramente, non rispetta i diritti umani in gene­rale e meno che mai li rispetta nei campi profughi. L’idea di far parlare il colonnello in Sena­to è stata fortemente contesta­ta e alla fine la conferenza dei capigruppo ha deciso di ospitar­lo non più in aula, ma nella Sa­la Zuccari. D’Alema aveva det­to che, per lui, Gheddafi avreb­be anche potuto parlare in au­la, anche perché capo dell’Unio­ne africana. D’accordo con lui Marini e Bossi. Il resto del Pd è invece insorto, come Di Pietro. Un paio di radicali fanno lo scio­pero della fame. Sono tutte ma­nifestazioni comprensibili, ma che prescindono dall’importan­za degli accordi sottoscritti e dal fatto che i libici hanno inten­zione di portar da noi parecchi soldi.

La Juventus?
Di quella – e della Fiat – hanno già una quota da parecchio tem­po. No, parlo del 4,23% di Uni­credit preso dalla Lafico e dalla Central Bank of Libya, dell’in­tenzione di investire nell’Eni sa­lendo in tre tappe al 10%, di al­meno un 2% di sottoscrizione dell’aumento di capitale Enel, varato, non dimentichiamolo, ­per abbattere un debito eccessi­vo di 61 miliardi, dell’Ubae, ban­ca a capitale misto italo-arabo. Le società di Gheddafi vogliono anche entrare in Telecom, dove bilancerebbero la presenza de­gli spagnoli di Telefonica, in Im­pregilo, in Terna, in Generali e in un mucchio di altre aziende piccole e grandi.

Non ci ha detto niente della ten­da.
Gheddafi non dorme lì, ma nel seicentesco casino del Bel Re­spiro, capolavoro dell’Algardi. La tenda beduina, me lo lasci di­re, è piena di fascino: 12 poltro­ne dai piedi dorati, divanetti, lampade al neon, tavoli, stufe elettriche e grandi incensieri per profumare l’ambiente. Dal­le aperture laterali, poi, lo spet­tacolo del parco dei Doria Pam­phili. Sembra impossibile che l’uomo con quella divisa da cir­co equestre abiti in un posto si­mile. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/6/2009]