MARCO FERRANTE, IL RIFORMISTA 11/6/2009, 11 giugno 2009
Marchionne ce l’ha fatta: nasce la Fiat globale - La Fiat è entrata nel capitale della Chrysler
Marchionne ce l’ha fatta: nasce la Fiat globale - La Fiat è entrata nel capitale della Chrysler. Al termine di tre giorni lunghi, tesi, incerti a causa della sospensione decisa da un giudice della Corte suprema americana, prima è arrivata la decisione della corte di respingere il ricorso di tre fondi pensione dell’Indiana (c’è qui sotto un articolo di Fabrizio Goria che racconta un retroscena della vicenda), quindi il via libera della Corte all’operazione e infine il closing, la firma dell’accordo. Una nota congiunta delle due società spiega che Sergio Marchionne sarà amministratore delegato e Robert Kidder il presidente. Come previsto, nel consiglio d’amministrazione composto di nove uomini per la Fiat ci sono tre posti. L’amministrazione americana si è dichiarata «lieta che l’alleanza con la Fiat possa ora andare avanti permettendo a Chrysler di riemergere come un produtttore automobilistico competitivo ed efficiente». Marchionne ha rassicurato i dipendenti «che hanno vissuto quest’ultimo anno in un contesto pieno di incertezze» e ha ha aggiunto di essere «consapevole del fatto che questo è stato un processo difficile per tutti i soggetti coinvolti, ma siamo pronti a dimostrare al consumatore americano che Chrysler può tornare a essere una società forte e competitiva con una gamma di vetture affidabili che colpiscono l’immaginazione e ispirano fedeltà». Marchionne sa bene che il difficile arriva adesso. L’operazione con Chrysler gli dà due opportunità: crescere nelle dimensioni (avvicinandosi alla quota sei milioni di autovetture l’anno) e mettere le mani sulla mitica (per Fiat) rete distributiva americana. Ma Chrysler è anche un’azienda in grandi difficoltà, abbandonata dopo un matrimonio fallimentare dalla tedesca Daimler, in condizioni finanziarie molto difficili e immersa nell’atmosfera psicologica da tregenda che ha colpito il principale, storico, settore industriale americano, l’auto. A maggio le vendite della più piccola delle Big Three sono diminuite di oltre il 45 per cento. La quota di mercato negli Stati Uniti è scesa al 10 per cento, gli afari dipendono troppo da un segmento a rischio, quello di jeep, suv e pick-up. Marchionne dovrà fare un buon lavoro di finanza, restituirle vitalità e poi accelerare i tempi industriali dell’integrazione. Sarà ovviamente la parte più spettacolare dell’operazione. Su Quattroruote di questo mese si spiega che Chrysler è tutt’altro che una scatola vuota. è piena di progetti, idee, di pianali che potrebbero consentire soluzioni molto interessanti: dalla Jeep Wrangler potrebbe finalmente nascere una Nuova Campagnola, dalla Dodge Circuit, una nuova 124 spider - che fu una delle più belle automobili italiane della storia - dalla Chrysler 300 C (tecnologia tedesca, eredità del matrimonio con Daimler) il pianale per l’Alfa 169, poi le sinergie su Suv e multispazio. Insomma prospettive entusiasmanti, ma anche una scommessa molto difficile. Che cosa resta, invece, del disegno della Grande Fiat? Difficile che General Motors ceda le sue attività sudamericane. Ci sarebbero ancora degli spiragli in Germania per Opel. L’alleanza con Magna è decisa, ma c’è chi dubita che la cosa si faccia realmente o che possa durare. Magna non ha una dimensione industriale tale da poter assicurare la sopravvivenza a un produttore di automobili di fascia media, con margini ridotti, e perdipiù con una capacità produttiva sotto i due milioni di macchine l’anno. Ieri il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha detto che l’operaziopne sta già vacillando e che entro fine anno potrebebro esserci delle sorprese. Vladimir Putin, incontrando il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier sulla tenuta economica dell’operazione Magna ha detto che la Sberbank, il socio finanziario russo, sarà un’azionista affidabile. In Italia la chiusura dell’accordo tra Fiat e Chrysler e dell’ingresso di Torino nel capitale della società americana non è stato commentato dalla politica. Il governo mantiene una certa distanza nei confronti di Torino. Hanno parlato invece i sindacati. Vogliono la convocazione di un tavolo con la società che esponga i programmi e che rassicuri i lavoratori sui cinque stabilimenti italiani, due dei quali Termini Imerese e Pomigliano d’Arco restano a rischio di ridimensionamenti.