Guido Tabellini, ཿIl Sole-24 Ore 11/6/2009;, 11 giugno 2009
LIBERIAMO I FONDI ITALIANI DALL’HANDICAP
quasi diventato un luogo comune dire che la crisi economica, oltre ai tanti danni causati, può anche offrire delle opportunità. Tra queste, una delle più importanti riguarda proprio la finanza. Dovremmo approfittare delle difficoltà della finanza anglosassone per rimpatriare una parte del capitale umano e finanziario che nei decenni precedenti si era riversato su Londra e New York. Altri paesi se ne sono accorti, e possiamo star certi che la revisione della regolamentazione finanziaria in Europa sarà guidata anche da obiettivi nazionalistici, e non solo da quello pubblicamente proclamato di difendere la stabilità economica.
In Italia vi è una riforma ovvia, che aumenterebbe l’efficienza dell’industria del risparmio gestito, e che attende da tempo di essere realizzata. la rimozione delle asimmetrie nel trattamento fiscale dei fondi d’investimento, che penalizzano i fondi di diritto italiano a favore di quelli di diritto estero. Anche per via di questa discriminazione, la quota di risparmi italiani gestiti da fondi di diritto estero continua ad aumentare di mese in mese e ha ormai raggiunto il 50%. La discriminante fiscale diventerà ancora più rilevante nel prossimo futuro, quando sarà recepita la nuova direttiva comunitaria che, per accelerare lo sviluppo del mercato unico, faciliterà l’uso del cosiddetto "passaporto del gestore", estendendo le possibilità di distribuire fondi d’investimento gestiti da società localizzate in un altro paese europeo.
Oggi i rendimenti dei fondi di diritto estero sono tassati solo al momento del riscatto, e l’imposta è pagata dal risparmiatore. I fondi di diritto italiano, invece, pagano direttamente le imposte sui rendimenti accumulati, e lo fanno sui redditi maturati indipendentemente dalla data di riscatto. Ciò li danneggia per due ragioni.
Primo, i fondi italiani sono co-stretti a esporre rendimenti al netto delle imposte, mentre i prodotti esteri riportano rendimenti lordi creando quindi un’apparenza di maggior redditività. Secondo, quando subiscono perdite i fondi italiani accumulano risparmi di imposta. Tali risparmi entrano a far parte del loro attivo, ma sono illiquidi e infruttiferi e quindi contribuiscono ad abbassare il rendimento del fondo. nche per via delle perdite subite con la crisi, lo stock dei risparmi d’imposta è cresciuto a dismisura: a fine 2008 era di oltre sei miliardi di euro, e per alcuni fondi addirittura superava la metà del patrimonio netto (stima di Assogestioni).
Il rimedio a questo problema è ovvio ed è di facile attuazione. Basterebbe applicare anche ai fondi italiani lo stesso trattamento fiscale riservato a quelli esteri. Lo stock dei risparmi d’imposta già accumulati potrebbe essere trasformato in credito d’imposta e trasferito all’investitore (pro quota) al momento del riscatto o, alternativamente e come suggerito da Assogestioni, utilizzato per compensare le future ritenute applicabili ai sottoscrittori del fondo.
Un provvedimento di questo genere non avrebbe controindicazioni. In particolare, non vi sarebbe perdita di gettito per lo stato, che continuerebbe a incassare le imposte sui redditi maturati (al netto dei crediti d’imposta comunque dovuti). E allora, perché aspettare? La risposta può solo essere che non si vogliono far emergere gli oltre sei miliardi di crediti d’imposta oggi nascosti nei bilanci dei fondi, e che altrimenti diventerebbero più evidenti. Ma se fosse davvero così, sarebbe prova di grande miopia. L’industria della finanza continuerà ad avere un’importanza cruciale anche dopo questa crisi. Anziché penalizzarla, dovremmo aiutarla a crescere e ad approfittare delle difficoltà altrui, come stanno facendo gli altri paesi europei.
Il governo è stato spesso accusato di eccessivo immobilismo nel reagire alla crisi economica. Vi è ora un’occasione di riforma a costo zero e senza rischi politici per smentire i critici. Sarebbe incomprensibile farsela scappare.