Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 11 Giovedì calendario

IL CODICE DI LEONARDO TORNA AL ’500


Terminata la «sfascicolatura» dei volumi. «I fogli singoli si conservano meglio»

MILANO – Da pochi giorni nel caveau della Biblioteca Ambrosiana di Milano le benedettine di Viboldo­ne hanno terminato la sfascicolatu­ra del Codice Atlantico di Leonardo. Dopo la notizia di presunte muffe di un paio d’anni fa, il lavoro delle suo­re è subito cominciato, svolgendosi sotto il controllo dell’Istituto Nazio­nale di Patologia del Libro, della Commissione Vinciana e con il so­stegno delle analisi effettuate alla Sapienza di Roma.

I prelievi alle carte hanno escluso aggressioni biologiche. La presenza di macchie nerastre, che fece il giro del mondo, rilevate in alcuni casi non sui disegni del Codice bensì sul supporto cartaceo esterno (che ha una quarantina d’anni), è stata attri­buita a «ingenti quantitativi di mer­curio ».

Il Codice Atlantico è come se tor­nasse alla sua origine, agli anni di fine Cinquecento nei quali Pompeo Leoni, scultore prediletto di Filippo II di Spagna, riuscì a radunare una cinquantina di manoscritti vinciani che variavano dagli «in folio» ai pic­coli taccuini d’appunti. Accanto ai volumi, a quaderni e brogliacci, l’ar­tista possedeva anche circa duemila fogli isolati di varia grandezza, con disegni accurati e rifiniti insieme ad appunti frettolosi e disorganici, nonché a fogli riutilizzati in quanto già scritti da altri.

Per dare unità fisica e omogenei­tà a questo materiale, Leoni lo fissò su due grossi album. In uno riunì i disegni artistici, compresi quelli di anatomia, corredandoli di didasca­lie; da questo volume, divenuto in seguito proprietà della Casa Reale d’Inghilterra, nel secolo XIX ciascun foglio fu staccato, nu­merato e montato sin­golarmente. Attualmen­te vengono citati come i «Fogli di Windsor», prendendo il nome dal castello reale ove sono conservati. Nell’altro, invece, raccolse i dise­gni di macchine e note di vario argomento, pre­valentemente di caratte­re meccanico e geome­trico, costituendo il Codice Atlanti­co, che finì per una donazione in Ambrosiana. Lo stesso fu rubato nel mese di «fiorile» del 1796 da Napo­leone (restituito a Milano dopo il 1815, per intervento di Canova) e dopo qualche soggiorno in tempo di guerra nel caveau della Cassa di Risparmio fu restaurato – questa è la penultima avventura – tra il 1962 e il 1972. In quell’occasione si scelse di dividerlo in 12 volumi.

Pietro C. Marani, uno degli stu­diosi che ha seguito più da vicino la sistemazione del codice per incari­co della Commissione Vinciana, in­segna Storia dell’arte moderna al Po­litecnico di Milano ed è anche presi­dente dell’Ente Raccolta Vinciana. Dichiara: «La sfascicolatura dei qua­derni in cui erano composti i 12 vo­lumi consentirà una migliore con­servazione dei fogli leonardeschi e, attraverso le mostre tematiche, la lo­ro conoscenza e diffusione. Gli spe­cialisti potremmo vederli diretta­mente e le carte non soffriranno per essere legate senza aria; si eviterà inoltre la formazione di polveri».

Marani sottolinea: «Non si pote­vano conservare 1.186 documenti di Leonardo che, dopo il restauro di mezzo secolo fa, erano montati su carta moderna: sfogliandoli si sotto­ponevano a piegatura e ad azione meccanica. Il tempo avrebbe com­promesso il disegno originale e l’usura ne minava la conservazione. Inoltre si trattava di carte di diversa natura e quelle attuali rischiavano di trasmettere dei problemi a quelle originali». Carlo Pedretti, professo­re emerito a Los Angeles, direttore del Centro Studi leonardeschi del­l’Università della California, saluta con gioia questa sfascicolatura: «Benvenuta! L’ho perorata dagli an­ni ”70, quando pubblicai il catalogo a New York del Codice Atlantico e diedi di ogni foglio una scheda. Si sarebbe dovuta fare un’operazione come quella di Windsor, invece si compressero le carte in quei 12 volu­mi correndo notevoli rischi. Anche Federico Zeri si trovò d’accordo con me nel rifiutare quel restauro».

Monsignor Franco Buzzi, l’attua­le prefetto della Biblioteca Ambro­siana, tira un sospiro di sollievo a la­voro finito e confida: «La ricolloca­zione del Codice Atlantico foglio per foglio ci darà modo di favorirne la fruizione integrale a partire dalle prossime esposizioni. Tra pochi giorni daremo l’annuncio ufficiale alla stampa italiana e internazionale dei risultati raggiunti, nonché delle iniziative progettate; per ora posso soltanto dire che si svolgeranno alla Biblioteca Ambrosiana e nella Sacre­stia Monumentale del Bramante, in Santa Maria delle Grazie». Da que­ste parole si può dedurre che il Codi­ce Atlantico uscirà dall’Ambrosiana e comincerà a farsi conoscere diret­tamente. Le domande si moltiplica­no. Quali sistemi di sicurezza, quali programmi? Del resto, qualunque frammento di Leonardo ha un valo­re immenso e dopo gli interessi di Bill Gates – e il successo del polpet­tone Il codice da Vinci – si è ricrea­ta una febbre intorno anche alla più piccola reliquia, giacché decine di miliardari in tutto il mondo sarebbe­ro disposti, pur di averla, a sborsare cifre impensabili. Anche in tempi di crisi.