Varie, 11 giugno 2009
WIMBLEDON PER VOCE ARANCIO
Un sondaggio di qualche anno fa mise il torneo di Wimbledon al terzo posto tra i ”tesori nazionali” della Gran Bretagna, preceduto da fish&chips e cabine rosse del telefono ma davanti alla pinta di birra, l’FA cup (la coppa d’Inghilterra di calcio) e agli autobus a due piani.
Il circolo del tennis di Wimbledon, The All England Croquet Club, fu fondato nel 1868. Nel 1877, essendosi rotto il rullo con cui il giardiniere, aiutato da un pony, curava i campi in erba, si creò la necessità di raccogliere 10 sterline. Poiché a quei tempo era una discreta cifra, l’assemblea dei soci decise di organizzare un torneo di tennis a inviti per gentlemen e di aprirlo al pubblico con biglietti da uno scellino per ogni posto a sedere. Poiché si era all’inizio dell’estate, agli spettatori furono offerte fragole alla crema, anche queste a pagamento. Ventidue giocatori iscritti, 200 paganti per ognuno dei quattro giorni di gara, alla fine gli organizzatori ebbero un guadagno di 17 sterline, soddisfacente al punto da decidere che nel 1878 ci sarebbe stata una seconda edizione: quella che inizia il 22 giugno (finale il 5 luglio) sarà la 123ª.
Oltre che il più prestigioso torneo di tennis del mondo, prima che la sterlina crollasse permettendo il sorpasso del parigino Roland Garros, Wimbledon era anche il più ricco: giro d’affari pari a 72 milioni di di euro (14 dalle sponsorizzazioni, 30 dai diritti tv), consente all’AELTC (All England Lawn Tennis and Croquet Club) di ”girare” alla federtennis inglese un surplus annuo che può arrivare a 50 milioni. Il tennis dell’era open, quello in cui i più grandi giocatori del mondo possono partecipare anche ai quattro tornei del cosiddetto ”grande slam” (gli altri due sono l’Us Open e l’Australian Open), nacque d’altronde proprio su iniziativa degli inglesi che il 14 dicembre 1967 votarono per primi l’apertura ai professionisti: l’estate precedente la BBC, stanca di trasmettere una specie di torneo di serie B, aveva convinto quelli dell’All England Club a organizzare sul Centre Court un torneo ad inviti aperto anche ai pro. Visto il successo di pubblico, fu deciso che era giunta l’ora di togliere il veto su quelli che fino ad allora erano stati considerati alla stregua di mercenari.
I ”professionals”, secondo i benpensanti dei gaglioffi che confondevano business e loisir (affari e diletto), erano stati banditi dal tennis già dagli Anni 80 dell’Ottocento. I primi match professionistici ufficiali furono disputati nel 1910 fra il ceco Karel Kozeluh e il tedesco Roman Najuch. Nel 1924 Albert Burke vinse un ”Campionato del mondo pro”, nel 1926 Charles ”cash and curry” Pyle organizzò la prima grande compagnia di giro del tennis americano, cui fu aggregata anche l’imbattibile francese Suzanne Lenglen, passata alla storia come ”la Divina”. Per oltre mezzo secolo ci furono due circuiti tennistici paralleli, chi ”tradiva” per denaro veniva esiliato dai grandi tornei ed escluso dalla Coppa Davis. In realtà gli ”shamateurs”, da ”shame”, vergogna, e ”amateurs”, dilettanti, guadagnavano già da tempo lucrando su rimborsi spese, collaborazioni con i giornali, compensi spacciati per regalie: quando, nel 1952, l’australiano Frank Sedgman rinunciò a passare pro, un quotidano lo premiò raccogliendo un ”regalo di nozze” da 10mila dollari.
Wimbledon fu all’avanguardia anche in un altro aspetto: nel 1884 organizzò il primo torneo femminile. Solo dal 2007 però il montepremi maschile e quello femminile sono uguali: quello inglese è stato l’ultimo torneo del grande slam ad accettare la parità, gli Us Open ci erano arrivati già nel 1973, l’Australian Open nel 2001, il Roland Garros nel 2006 (ma solo per quanto riguardava i premi dei vincitori). A partire dall’inizio degli Anni 90 erano caduti due dei tre grandi ostacoli che gli uomini avevano opposto alla parità: l’impatto mediatico e lo spettacolo offerto. Con l’apparizione di una nuova generazione di tenniste-pin up, l’interesse dei tornei femminili aveva però preso a crescere in modo sempre più evidente. Restava la questione dell’impegno fisico, i cinque set degli uomini contro i tre delle donne, alla fine comunque insufficiente per mantenere la disparità di trattamento.
Le tenniste erano trattate peggio dei colleghi già nell’era dilettantistica: nel 1884 a Maud Watson fu consegnata una fioriera d’argento da 20 ghinee, a William Renshaw una coppa d’oro che ne valeva 30. Nel 1968, prima edizione open, Rod Laver incassò 2mila sterline contro le 750 di Billie Jean King; nel 1978 Bjorn Borg ne prese 19mila, Martina Navratilova 17.100; nel 1989 le proporzioni erano pressoché inalterate (premi del 1978 moltiplicati per dieci): 191mila sterline per Boris Becker, 171 mila per Steffi Graff; nel 2000 Pete Sampras incassò 477.500 sterline, Venus Williams 430mila. Nel 2006, ultima edizione ”maschilista”, sul conto di Roger Federer arrivarono 655mila sterline, su quello di Amelie Mauresmo 625mila.
Quest’anno il monterpremi ammonta a 12.550.000 sterline contro gli 11.812.000 dell’anno scorso (+6,2%). Per quanto riguarda il singolare (montepremi totale 8.550.000, +8,9%), i vincitori incasseranno 850mila sterline (+13,3%), agli sconfitti in finale andrà esattamente la metà (425mila), ai semifinalisti un quarto (212.500), agli eliminati nei quarti di finale un ottavo (106.250), agli eliminati negli ottavi 53.250 sterline, agli eliminati al 3°, 2° e 1° turno rispettivamente 29.250, 17.750 e 10.750 sterline. Le coppie vincitrici del doppio (montepremi di 2.040.000 sterline invariato dall’anno scorso) si divideranno 230.000 sterline (115.000 a testa, poco più dei singolaristi eliminati nei quarti), le coppie vincitrici del doppio misto divideranno 92.000 sterline (46.000 a testa, meno degli eliminati agli ottavi del singolare). Gli altri premi andranno agli eliminati nei tornei di qualificazione al tabellone principale (qui gli uomini guadagneranno ancora qualche sterlina più delle donne) e ai partecipanti dei tornei di doppio a inviti (compreso quello su sedia a rotelle).
Dal 1922 il torneo ha sede a Church Road. Quella di quest’anno sarà la prima edizione col tetto mobile: grazie ad un impianto idraulico potrà essere chiuso in dieci minuti. I puristi, preoccupati per i possibili danni all’erba (tipo San Siro, per intendersi) e comunque restii ad abbandonare la tradizione, si sono sempre detti contrari all’idea, ma gli interessi delle televisioni, preoccupate per il calo degli ascolti causato dalle frequenti interruzioni per pioggia, hanno infine avuto la meglio. La capienza del campo centrale (in tutto sono 19) è stata portata da 13.500 a 15.000 posti, i sedili sono stati allargati perché, come spiegato da Tim Phillips, presidente delll’AELTC, «la gente tende a ingrassare».
L’opera di ristrutturazione, costata 180 milioni di sterline, è stata finanziata con le ”debentures”, sorta di obbligazioni che in cambio di una cospicua somma dotano gli investitori di due biglietti al giorno per i due campi principali. Trovare i biglietti non è infatti una cosa semplice: vengono venduti da agosto a dicembre con un sistema tutto inglese: fatta richiesta, il nome viene inserito in una lotteria e bisogna sperare di essere estratti. In caso non si sia stati abbastanza fortunati, ci si può mettere in fila nel cuore della notte per comprare uno dei 250 biglietti messi in vendita ogni giorno. Quanto ai prezzi, un biglietto per il centrale costa, aumenti ogni due giorni, 40, 50, 62, 72, 82 e 92 sterline, 100 per la finale. Sul campo n.1 si parte da 37 sterline fino al picco di 70 il 1° luglio, dopo gli incontri principali si svolgono solo sul centrale e il prezzo scende fino a 25. Sul campo n. 2 (dove non c’è lotteria) si parte da 33 sterline, picco di 50 lunedì 29 giugno, sul n. 3 si parte da 29 e si arriva a 42 lo stesso giorno, negli altri campi si parte da 20 sterline e si scende fino a 8 (da 14 a 5 per gli ingressi dopo le 17).
Tra le fonti d’incasso del torneo ci sono, oggi come nel 1877, le fragole con la crema, otto per due sterline e spicci: nel 2007 i 460mila spettatori che assistettero al torneo ne consumarono 27mila chili, accompagnandole con 12.500 bottiglie di champagne. Negli ultimi anni è diventato particolarmente importante il merchandising, introdotto nel 1979: gli asciugamani, per fare un esempio, apprezzattisimi dai giocatori che ogni anno ”dimenticano” di restituirne la metà (su un totale di circa 5.000), vengono venduti a 25 sterline. Da tutto il mondo si possono fare acquisti on line sul sito del torneo (www.wimbledon.org), con quattro fasce di prezzo (in sterline): 20-24,99, 25-29,99, 30-39,99, 40-49.99. Quest’anno l’oggetto più costoso è il portafoglio in pelle (45), il più economico il dvd con la storia del torneo (20).
Al sito internet lavorano 15 delle oltre 6mila persone impiegate dall’organizzazione del torneo. La categoria più numerosa è quella degli addetti al catering (1600), seguono gli steward (490), gli addetti alla sicurezza (480), gli arbitri (335), gli autisti (310), i raccattapalle (290), gli addetti ai campi (128) e quelli alle toilette (112). Per il momento, quelli dell’AELTC sono tra i lavoratori inglesi meno preoccupati dall’idea di perdere il posto di lavoro: il tennis è infatti tra gli sport che meglio sta resistendo alla crisi economica, a gennaio, quando si parlava di un’imminente bancarotta planetaria, gli Australian Open hanno stabilito il record di spettattori in una giornata (63.557).
Gli inglesi, orgogliosi che il loro torneo sia il più importante del mondo, hanno però un cruccio: dal 1977, quando si impose Virginia Wade, non vedono un loro connazionale trionfare sull’erba di casa (l’ultimo vincitore nel torneo maschile fu addirittura Fred Perry nel 1936). Gli economisti della globalizzazione usano questo fenomeno per una metafora nota appunto come ”Wimbledon effect”, secondo la quale bisogna ospitare una competizione con i migliori giocatori senza preoccuparsi della nazionalità del vincitore: lo stesso, si dice, fa con l’alta finanza la City di Londra, negli ultimi tempi a dire il vero un po’ malmessa.