repubblica.it, 11 giugno 2009
La figlia dell’avvocato porta l’attacco più duro nell’affaire dell’eredità del "signor Fiat"
La figlia dell’avvocato porta l’attacco più duro nell’affaire dell’eredità del "signor Fiat". Gabetti replica: risponderemo entro una settimana "Il tesoro nascosto dell’Avvocato" La verità di Margherita Agnelli di ETTORE BOFFANO e PAOLO GRISERI TORINO - Ieri mattina, infatti, la figlia dell’Avvocato e le sue controparti, oltre a Gabetti anche l’avvocato Franzo Grande Stevens, il commercialista svizzero Siegfried Maron e la madre Marella Caracciolo, hanno depositato le memorie finali davanti al giudice del Tribunale civile di Torino Brunella Rosso. (l’udienza decisiva è fissata per il 30 giugno). E se Gabetti e Grande Stevens ribadiscono di non aver mai amministrato i soldi dell’Avvocato, la vedova Agnelli ha prodotto copia di una citazione inoltrata alla giustizia elvetica nella quale chiede di dichiarare la validità della divisione ereditaria stipulata in Svizzera nel 2004 con la figlia. Ma il vero colpo di scena emergerebbe dalle carte consegnate proprio da Margherita: la figlia di Gianni Agnelli, infatti, avrebbe quantificato per la prima volta ciò che, a suo dire, le sarebbe stato tenuto in buona parte nascosto. L’unica erede diretta dell’Avvocato non chiede quel denaro, ma conferma al giudice la sua istanza: quelli che lei considera i "gestori" degli averi del padre, Grande Stevens, Gabetti e Maron, devono consegnarle il rendiconto di tutto. Un gesto clamoroso e un’affermazione molto pesante che si spiegano solo col duro scontro giudiziario che ormai si è imposto nella causa civile cominciata due anni fa. A sostegno della sua posizione, Margherita indica una serie di documenti e le sofisticate operazioni finanziarie che costituiscono l’asse della sua tesi. Una vicenda che corre tra Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Usa e paradisi fiscali dei Caraibi. Un possibile "tesoro" estero che, a detta del gruppo di analisti internazionali ingaggiati per tre anni dalla figlia dell’Avvocato, avrebbe il suo fulcro in un’operazione finanziaria del 1998 celebrata all’epoca come una delle più importanti dal dopoguerra: l’Opa Exor. "L’Opa pour rire". "Un’Opa per ridere" e dunque finta, secondo invece i consulenti di Margherita. Cerchiamo di spiegare i perché di questa tesi clamorosa. Nel 1996 Gianni Agnelli deve subire un delicato intervento al cuore a Montecarlo. e scrive un "memoriale" per indicare la successione alla guida della Famiglia e della Fiat: tocca al primogenito di Margherita, John Elkann. Superata l’operazione, l’Avvocato capisce che è necessaria una costruzione più accurata della questione ereditaria con l’obiettivo di attribuire al nipote la guida dell’accomandita di famiglia. Il problema più importante, sostengono i legali di Margherita, sarebbe però quello del "patrimonio" estero riconducibile a Gianni Agnelli. Somme ingenti, a detta della figlia, le cui tracce potrebbero essersi addirittura intersecate con i "fondi neri" Fiat emersi nel processo torinese contro Cesare Romiti sui falsi in bilancio. Il "salvadanaio" del Lussemburgo. Nella ricostruzione degli analisti dell’erede Agnelli, tutto sarebbe accaduto nel Granducato dov’era quotata la società "Exor Group". In realtà essa esisteva dal 1966 (ma aveva un altro nome) come filiale dell’Ifi ed era stata creata da Gianni Agnelli e dal cugino Giovanni Nasi. Col trascorrere dei decenni, però, la partecipazione dell’Ifi e dell’accomandita di famiglia, la "Giovanni Agnelli Sapaz", diminuisce costantemente, sino a rappresentare all’inizio del 1998 solo il 19,74 per cento, mentre oltre il 60 per cento è in mano ad "azionisti anonimi" rappresentati nelle assemblee da fiduciari. Al momento della fondazione, Exor Group ha un capitale di mille dollari, ma esso crescerà con dodici aumenti sino a consentire la quotazione nella Borsa del Lussemburgo per usufruire dei benefici fiscali di una legge del 1929. La società lussemburghese è strategica nel Gruppo Agnelli-Fiat e ha distribuito dividendi anche dieci volte superiori a quelli delle finanziarie italiane, Ifi e Ifil: dal 1974 al 2002, infatti, Exor assicura un miliardo e 808 milioni di euro a fronte di 215 milioni di euro da parte delle finanziarie italiane. Quanto alla quotazione in borsa essa appare, a detta degli analisti, "flebile": il flottante resterà sempre inferiore all’1 per cento. Questioni di fisco. Nel 1998 Exor è ricchissima grazie alle numerose filiali negli Stati Uniti e in Asia. Al 31 dicembre 1997 il patrimonio netto è di 737 milioni di euro, ma il consolidato è di due miliardi e 286 milioni. A questo punto, nello scenario dei consulenti, la società mette in vendita le filiali creando un maxidividendo pari a un miliardo e 750 milioni di euro sul quale i soci italiani (sia ufficiali che anonimi) dovrebbero poi versare al nostro fisco somme molto elevate. Secondo la consulenza, chi comandava davvero in Exor avrebbe allora deciso di trasformare quei dividendi in plusvalenze pagabili all’estero e non tassabili. Si tratterebbe di "un’operazione geniale": la famosa Opa lanciata ufficialmente dalla "Giovanni Agnelli e Sapaz" il 10 novembre 1998 per 2600 miliardi di lire. L’amico americano. In realtà l’accomandita fonda, sempre in Lussemburgo, una nuova società. il 12 novembre e la chiama "Giovanni Agnelli & C. International". Sarà quest’ultima a lanciare ufficialmente l’Opa (il prospetto è di 15 pagine e l’offerta va dal 21 dicembre 1998 al 15 gennaio 1999) su tutte le azioni di Exor escluse quelle detenute dall’Ifi, dall’accomandita di famiglia e da Sopraexo (della famiglia Mentzelopoulos): tutti i titoli degli azionisti anonimi. Per farlo, però, la nuova società chiede un prestito di 1,3 miliardi di dollari alla Chase Manatthan Bank controllata da un grande amico di Agnelli e Gabetti: David Rockefeller. Il prestito è subito concesso, nonostante un capitale sociale di 16 milioni di dollari. L’Opa ha un effetto immediato tra gli azionisti sconosciuti: i titoli acquistati ammontano a un totale di un miliardo 364 milioni 474.680 dollari finiti nelle casse degli "anonimi" i quali, da quel momento, escono per sempre da Exor Group. Il 21 giugno, la stessa Exor delibera il futuro pagamento del maxidividendo da un miliardo 526 milioni 915.745 dollari e il 30 giugno assorbe la sua azionista, la "Giovanni Agnelli & C. International", che sparisce. A questo punto, Exor delibera infine di saldare il debito con la banca di Rockefeller (debito che ha "eredidato" dalla società scomparsa) e lo fa utilizzando proprio il denaro del maxidividendo. Al termine dell’operazione, Ifi e accomandita controllano assieme l’84,79% della società lussemburghese (che nel frattempo è uscita dalla Borsa) anche se nessuna delle società italiane coinvolte ha dichiarato di aver ricevuto un reddito dall’Opa. Gli "anonimi", invece, avrebbero lasciato Exor portando con sé un miliardo e trecento milioni di dollari. Il "sancta sanctorum". Ma chi sono i "soci anonimi" che hanno rotto il "salvadanaio lussemburghese"? Qui sta il perno della tesi di Margherita Agnelli. I fiduciari in realtà avrebbero rappresentato, secondo quel che dice la consulenza, quasi sempre una sola persona: Gianni Agnelli. In altre parole, il lento declino azionario di Ifi e dell’accomandita dal 100 per cento di Exor del 1966 sino al 19,74 per cento del 1998 avrebbe avuto un contraltare "riservato": chi comprava le azioni da altri membri della Famiglia sarebbero stati lo stesso Avvocato o dei suoi fiduciari. Ma in quale percentuale? Gli analisti hanno varato due ipotesi: da un minimo del 33% (in questo caso Agnelli avrebbe ricavato un miliardo 44 milioni 54.418 euro dall’Opa del 1998) a un massimo del 100 per cento (pari a 2 miliardi 514 milioni 675.897 euro). Nell’ipotesi mediana (il 50 per cento), quell’accumulazione di capitale all’estero ammonterebbe a un miliardo 463 milioni 243.000 euro: proprio quest’ultima è quella prospettata al Tribunale. Dal 1999 il denaro sarebbe poi transitato su una decina di trust offshore già indicati da Margherita Agnelli nella citazione a giudizio del 2007. La risposta di Exor. Gianluigi Gabetti, interpellato ieri da "Repubblica", ha scelto di non replicare: "Non ho ancora visto le carte - ha detto - Le stanno valutando i miei legali e ci vorrà almeno una settimana. Per ora non com-mento". (11 giugno 2009)