Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Stamattina, a Ginevra, un bel team di professoroni affronterà una squadra di giornalisti proveniente da ogni angolo della Terra e annuncerà che la particella di Dio è stata trovata, oppure annuncerà che la particella di Dio non è stata trovata e che al suo posto è stata trovata un’altra cosa, o anche che, nonostante tutto, non è stato trovato niente e la Fisica nucleare si trova quindi al punto di partenza: si ipotizza una certa struttura della materia, che ha avuto finora parecchie conferme, ma non si ha ancora la conferma definitiva, quella cioè che riguarda, appunto, la cosiddetta “particella di Dio”.
• Come mai questo nome…?
La teoria ancora più accreditata, per quanto riguarda l’origine del mondo in cui viviamo, è che in un certo istante risalente a 13 miliardi e mezzo di anni fa si sia creata una condizione di estrema densità e di estremo calore, e che da questa condizione estrema sia cominciata l’espansione dell’Universo, che è ancora in corso. I fisici avvertono che parlare di origine dell’Universo – il momento cioè in cui sarebbero nati lo spazio e il tempo – è improprio. Si tratta soprattutto di descrivere quello che è successo subito dopo quel primo momento indefinibile. Per la precisione: il primo evento che si prende in considerazione è ipotizzato a un decimo di miliardesimo di secondo dal primo istante.
• Si può tenere conto di una misura tanto piccola? E che accadde?
Si scontravano tra di loro, con un’energia pari almeno a 14 mila miliardi di elettronvolt (un elettronvolt è pari a 1 volt moltiplicato per la carica dell’elettrone), miliardi e miliardi di protoni e questi scontri producevano bosoni, i quali risultarono fondamentali nel processo che portò a dotare le altre particelle di una massa. Questa ricostruzione è piuttosto accreditata, ma non si può giurare che sia vera. Nessuno, per quanto se ne sa fino ad ora, ha mai visto un bosone.
• Come fanno a supporre che le cose sono andate in un certo modo e che i bosoni esistono se nessuno li ha mai visti?
L’osservazione dell’universo e lo studio dei fenomeni che avvengono nel microcosmo subnucleare hanno fatto supporre agli scienziati che le cose stessero in un certo modo. Le faccio un esempio: osservando il cielo, e pianeti lontani da noi anni e anni luce, si registrano dei movimenti, delle oscillazioni che fanno supporre l’esistenza di qualche altro corpo celeste che influenza o deforma le traiettorie di quello che stiamo osservando. Le induzioni relative al corpo celeste ipotizzato, ne permettono spesso una descrizione abbastanza accurata, anche prima che si sia riusciti a vederlo direttamente. Il nono pianeta del sistema solare, Plutone, lontanissimo da noi, venne postulato da Percival Lowell all’inizio del Novecento perché Urano e Nettuno non si muovevano come dovevano muoversi. Del resto, Nettuno era stato pre-visto con lo stesso sistema. Stessa cosa con il microcosmo: se le particelle che stanno nell’atomo (protoni, neutroni, elettroni) si comportano in un certo modo, allora è ipotizzabile che i mattoni fondamentali della materia siano fatti così e così. Dovremmo a questo punto – citando a tutta velocità i quark e poi magari anche i leptoni, i gluoni, i muoni – dare a volo d’uccello un’idea della fisica quantistica e all’interno di questa spiegare i bosoni. Lei capisce che non ci penso proprio.
• Che razza di telemicroscopio ci vuole per vedere particelle tanto piccole?
Al Cern di Ginevra hanno costruito una macchina che si chiama Large Hadron Collider. Un tunnel circolare lungo 27 chilometri, piazzato cento metri sotto terra. Qui si sparano una contro l’altra nuvole di miliardi di protoni alla velocità di cui dicevamo sopra. Le collisioni dovrebbero produrre i famosi bosoni, i quali in questo modo confermerebbero almeno una parte delle teorie che vanno per la maggiore. La conferenza stampa di stamattina sarà seguita dai fisici di tutto il mondo riuniti per un loro congresso in Australia.
• Quindi i bosoni devono averli visti?
No. I bosoni, se esistono, dovrebbero aver lasciato delle tracce. Però: le tracce devono essere quelle previste e devono trovarsi nei punti ipotizzati. Anche quando fosse proprio così, bisognerà accertarsi che non si tratti di eventi dovuti al caso. Per dare l’annunicio che i bosoni esistono come i fisici li hanno immaginati bisogna che la probabilità di errore sia inferiore ad almeno 1 su 1 milione. Se invece sarà dato l’annuncio che i bosoni non esistono, la fisica, in un certo senso, dovrà ricominciare daccapo oppure bisognerà attendere che sia completata la costruzione di una macchina più potente dell’attuale e tentare un altro test. È importante che io le dica che ci sono tanti italiani a capo di questa formidabile ricerca. In primis, la professoressa Fabiola Gianotti, di 40 anni, coordinatrice del progetto Atlas e anche laureata in pianoforte al Conservatorio di Milano. Lucio Rossi ha guidato la costruzione dei superconduttori che formano l’anello. Sergio Bernardini è il direttore scientifico del Cern. E Rubbia, grazie ai bosoni, vinse il Nobel nel 1984. Devo anche dirle che il grande Stephen Hawking non ha mai creduto ai bosoni. E infine è bene lei sappia che, anche con i bosoni, l’Universo resterà un mistero. La forza di gravità, per esempio, con cui abbiamo a che fare ogni momento, non entra in nessuno schema di spiegazione complessiva.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 luglio 2012]