Alessandra Arachi, Corriere della Sera 4/7/2012, 4 luglio 2012
QUEL BATTICUORE, 40 ANNI DOPO
Sorride, Enrico Vanzina. Accarezza i ricordi vicini e lontani, gioca con i pensieri e con le dita delle mani. Garantisce: «Questa storia se la racconto, no, non ci può credere. Sembra un pezzo di una sceneggiatura». Di una sua sceneggiatura? «Perché no?». Ammicca complice il regista, che con suo fratello Carlo ne ha scritti a decine di film dove d’amore si è parlato molto. Amori narrati come pagine lievi, oppure garbugli ironici, o anche commedie degli equivoci in salsa marinara.
Sorride Vanzina. Delle sue estati a Castiglioncello ne ha parlato in qualcuna di quelle commedie che ogni anno sbancano letteralmente i nostri botteghini. «Di quella estate dei miei diciassette anni, però, ne ho parlato soltanto una volta», dice, senza spiegare quale. Non ancora.
Era un’estate degli anni Sessanta. «La più classica delle estati di quegli anni fatte di pattìni, e juke boxe, e flirt abbronzati, e falò sulla spiaggia», racconta Vanzina come se davvero stesse disegnando una sceneggiatura dal più classico sapore di mare. Fino a lei.
«Lei si chiamava Paola Malorni, voglio dire il nome e anche il cognome. Castana chiara, alta, bellissima. Super intelligente. Sexy. Incredibilmente sexy per una ragazza che aveva sedici anni appena, in quegli anni colmi di pudore e di balbettii adolescenziali». Paola Malorni. Nella vita di Enrico Vanzina è entrata con la furia di un amore mai conosciuto prima. «Non che fosse lei il mio primo amore. Ma lei è stata l’amore che mi ha travolto la vita. Quell’amore che ti fa battere il cuore e te lo fa rimbalzare in gola. Quell’amore totale che neanche nei libri di Stendhal».
Paola Malorni. Quella donna che nella vita di un uomo segna un confine: prima di lei. E dopo di lei, nulla è più come prima. «Anche se a quella età è facile che tutto torni rapidamente al suo posto», spiega laicamente Enrico Vanzina e adesso che ha accarezzato i ricordi lontani vuole raccontarci i ricordi vicini. Quel ricordo lì. Quella volta lì.
«Ma prima devo dire come è finita. Incredibilmente nel nulla. I batticuori di quell’estate si esaurirono con l’arrivo dell’autunno, semplicemente. Tornammo a Roma, eravamo ragazzi. Non avevamo le stesse vite, in città. Ci saremmo visti qualche volta, forse. La routine ebbe il sopravvento. Era inevitabile. Ad ottobre diventammo due estranei».
Estranei Enrico e Paola rimasero, per il resto della vita. Qualche notizia che giunge all’orecchio dell’altro, un po’ per caso. Enrico che diventa il regista che sappiamo. Paola finisce in cattedra a fare la professoressa. Le esistenze che divergono ogni giorno di più, fino alla dissolvenza.
«Però Paola me la portavo fra i ricordi del cuore. Per questo un giorno ho deciso di raccontare la sua storia. Cinque anni fa, nelle pagine di un noto settimanale. Non era difficile raccontare le mie estati a Castiglioncello, l’avevo già fatto. Ma quella volta volli parlare di lei. Nei dettagli».
Un articolo, qualche decina di righe su un computer. Enrico Vanzina spedisce il suo lavoro al settimanale e pazientemente aspetta l’uscita in edicola del numero. «Il giorno che avevo saputo sarebbe uscito, sono andato in un’edicola dei Parioli, in via Antonelli. Ho comprato il settimanale. L’ho stretto nel palmo della mano. Mi sono voltato. E sono andato a sbattere...». Enrico Vanzina si ferma. Sorride ancora una volta: «Sono andato a sbattere contro Paola Malorni, se ci volete credere bene. A me basta che sia vero. Assolutamente vero».
Vero come quell’abbraccio che in quell’istante ha legato Enrico e Paola, quarant’anni dopo, davanti a un’edicola dei giornali. «Tre minuti di una tenerezza senza fine. Il mio cuore che è tornato a battere come in un romanzo dell’Ottocento, i pensieri che sono corsi rapidi a quelle spiagge degli anni Sessanta, all’adolescenza lasciata in mezzo ai cremini. Lei era ancora bella, come una bella attrice diventata grande che mantiene il passato sul viso».
Enrico e Paola non si sono più visti, da quel giorno. Ogni tanto la vita continua a sussurrare qualche notizia dell’uno nelle orecchie dell’altra. Ogni tanto, forse, uno dei due andrà a sfogliare quell’articolo del settimanale, impolverato.