MARIO DEAGLIO, La Stampa 4/7/2012, 4 luglio 2012
BARCLAYS ANCHE LE BANCHE DEVONO PAGARE
Tornati da Bruxelles, i governi europei si sono messi a fare i «compiti a casa», ossia a mettere ordine nelle proprie finanza pubbliche, scardinate dalla crisi economica. Per gli italiani si tratta di una prova molto dura perché l’Italia è reduce da una «vacanza» lunga più di un decennio, ma non ci sono rose e fiori neppure per gli altri paesi: la Corte dei Conti francese ha stimato ieri in 6-10 miliardi di euro i tagli alla spesa pubblica da realizzare Oltralpe nel 2012 e in 33 miliardi quelli indispensabili l’anno prossimo per arrivare a un deficit pubblico pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, assai superiore a quello italiano.
Consolazione magra per gli statali italiani afflitti dalla prospettiva di ferie coatte e carriere ridotte. A consolarli, però, dovrebbe essere la notizia che i «compiti a casa» non li fanno solo i governi - e, tramite loro, gli statali. Anche la grande finanza internazionale è entrata nel girone delle penitenze. Il primo «peccatore» nel mirino è Barclays Bank, seconda banca inglese per ammontare delle attività, oltre trecento anni di storia, grande protagonista della finanza internazionale fino a ieri, simbolo della rispettabilità bancaria della City dove vige il motto «my word is my bond», la mia parola è il mio impegno.
Barclays ha accettato di pagare una multa di 451 milioni di dollari, il che potrebbe essere solo l’inizio, e presidente e amministratore delegato si sono dimessi in un batter d’occhio, e anche questo potrebbe essere solo l’inizio. La «parola» di Barclays Bank è risultata sistematicamente contraffatta per diversi anni, durante i quali ha manipolato, o quanto meno contribuito a manipolare, il Libor, uno dei tassi chiave del mercato finanziario mondiale, sulla base del quale ogni giorno si chiudono milioni di contratti. E sicuramente non ha agito da sola: i siti finanziari riportano i nomi di almeno altri 5-6 colossi, europei e americani, veri pilastri dell’economia finanziaria globale che avrebbero preso parte alla falsificazione.
E’ bene sottolineare che il mondo bancario italiano non appare toccato da questo «giro» nefasto; in parte perché le dimensioni delle banche italiane non consentono loro, tranne pochissime eccezioni, di partecipare stabilmente al «grande gioco» della finanza globale e in parte per le sue tradizioni vecchiotte che lo fanno guardare con sospetto ai nuovi strumenti finanziari, e soprattutto perché la sorveglianza della Banca d’Italia è molto più occhiuta ed efficace di quella degli altri paesi avanzati.
Un Libor manipolato ha quasi certamente avuto come conseguenza uno «spread» più elevato per paesi come l’Italia, la Spagna e anche la Francia. E senza nulla togliere alla necessità di ridurre una spesa pubblica inefficiente ed eccessiva, per la prima volta ieri si è scoperchiata l’altra pentola della crisi: il dimagrimento fiscale che l’Europa si sta auto-imponendo è ragionevole e importante ma ha veramente senso solo se le regole non sono truccate e non si consente più ai grandi della finanza mondale di modificarne allegramente i parametri a proprio favore.
«C’è del marcio nella cultura bancaria» titolava ieri «Bloomberg», il principale sito degli operatori finanziari globali. Ma se Bloomberg ha ragione non basta eliminare gli alti bonus di qualche banchiere internazionale, bisogna cambiare le regole della finanza internazionale e sostituire non uno o due personaggi di vertice ma buona parte della dirigenza finanziaria globale. La nuova cultura bancaria non potrà più pretendere di tenere i controllori fuori dalla porta nel momento in cui si mandano le «troike» dei controllori internazionali a fare le pulci ai bilanci pubblici di paesi in difficoltà come la Grecia.
L’eliminazione parallela del «marcio» dalla cultura bancaria e dalla cultura della spesa pubblica potrebbe rappresentare la via d’uscita meno dolorosa dalla crisi finanziaria. Ai sacrifici finanziari e alle riduzioni di servizi pubblici che, in un modo o nell’altro, si stanno richiedendo ai cittadini dei paesi più indebitati dovrebbero corrispondere i sacrifici finanziari da richiedere agli azionisti delle imprese finanziarie più spericolate: al ricambio delle classi politiche potrebbe fare da contrappunto il ricambio delle élites finanziarie più compromesse. Solo così il risanamento potrà avere qualche speranza di produrre una società nuova.
Qualcosa comincia a muoversi: i pallidi tentativi di dare regole alle società di «rating» si accompagnano a progetti di riforma più radicali che hanno visto la luce nella stessa Gran Bretagna a opera del governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King in base ai quali non dovrebbe più succedere, come invece avviene oggi, che in molti Paesi finanziariamente avanzati i risparmi del cittadino medio possono essere usati, a sua insaputa, per operazioni finanziariamente rischiose. Ci vorrebbero, insomma, un po’ di restrizioni per salvare gli elementi essenziali della libertà di tutti. Ecco un bellissimo «compito a casa» che la finanza internazionale sarà, prima o poi, chiamata a fare.