Roberto Giardina, ItaliaOggi 4/7/2012, 4 luglio 2012
MADE IN GERMANY MA FATTO A MANO
Angela guida i suoi tedeschi fuori dalla crisi anche perché in India o in Cina, e da noi, si continua ad acquistare a occhi chiusi qualsiasi prodotto che possa vantare il marchio made in Germany, sinonimo di alta tecnologia e di perfezione, ma i tedeschi esportano, oltre ad auto e rotative, oggetti fatti a mano, come ai vecchi tempi.
Dovrebbe essere una nostra specialità, ma i nostri artigiani si stanno per estinguere, e li cacciamo dalle loro storiche botteghe nei centri storici per ospitare pizze al taglio e jeanserie. A Monaco ho visto fare a mano le Rolls-Royce, ormai prodotte dalla Bmw, come presumo si facciano sempre a mano le Ferrari e gli abiti della nostra haute-couture. L’handmade in Germany è un’altra cosa. Un libro appena uscito, Handgemacht, fatto a mano per l’appunto, di Florian Langenschiedt e Peter May (Gabal Verlag, 400 pagine, 75 euro), è una specie di catalogo illustrato che offre autentiche sorprese. E ai due autori si deve l’iniziativa «Deutsche Manukfaturen, Handmade in Germany», che riunisce gli artigiani tedeschi: a volte possiedono una semplice bottega, in cui lavora l’unico titolare e factotum, a volte sono piccole imprese di famiglia, con pochi dipendenti specializzati, piccoli artisti coccolati dal padrone, disposto a esaudire ogni loro desiderio pur di non perderli.
Si trovano quasi tutte in provincia, nella Foresta Nera dove si producono orologi a cucù che, sostengono, sono meglio di quelli della vicina Svizzera, o sul Baltico, dove fabbricano candele come ai tempi dei Buddenbrook, per le feste di Natale, o le cene romantiche, profumate con gli aromi preferiti dai clienti. Molte altre hanno sede nella scomparsa Germania Est, dove ai tempi del muro si doveva sopperire con la fantasia e con l’abilità manuale ai macchinari moderni dei capitalisti. In fondo anche la Trabant, la vetturetta di plastica simbolo dell’industria orientale, era fatta a mano: prima di vedere le Rolls-Royce bavaresi ho visto le operaie, come sartine, tagliare con le forbici la carrozzeria. A Steinach, in Turingia, all’Est, da 112 anni producono animali di peluche a dimensione naturale, o quasi, e figure umane in papiermaché. La pronipote del fondatore, Evelyn Forkel, quando scomparve la Ddr, rifiutò di chiudere e sfidò quanti le pronosticavano un fatale fallimento. Come avrebbe potuto competere con i prezzi dei prodotti in serie che giungevano dall’Ovest? «Non bisogna avere paura dei prezzi, i clienti cercano la qualità», assicura Ulrich Welter, che a Berlino produce tappezzerie costosissime e uniche. «La mia è una produzione di nicchia», dichiara con orgoglio, «che non conosce crisi né soffre la concorrenza». Prodotti che non temono la globalizzazione o la produzione low cost che viene dall’Asia. Le tappezzerie di Welter sono state scelte per adornare il teatro di Los Angeles, dove vengono consegnati gli Oscar. A Berlino c’è un grande negozio che vende solo prodotti fatti a mano o, comunque, in piccole serie: si può comprare una grattugia in legno e acciaio, come quelle usate dalle nostre nonne, o una bilancia dove controllare il peso a mano, come faceva Hemingway nella sua Finca Vigia a Cuba, e non un moderno aggeggio elettronico che indica anche i grammi. La barba si fa con un pennello di peli di tasso e con rasoio in acciaio temperato di Solingen. Si trovano persino le gloriose valige di cartone, quelle dei nostri emigrati. La ditta produttrice, la Manufactum, esiste dal 1988 e ha filiali in tutte le grandi città. Nel mio quartiere, a Charlottenburg, il marzapane viene cotto nello stesso vecchio forno che risale alla repubblica di Weimar, e il prodotto viene esportato in tutto il mondo. Non c’è un dato preciso su quanto sia il bilancio globale di queste imprese che fabbricano a mano. Forse non sarà molto, ma il fascino del made in Germany è merito loro. Si cena a lume di candela, come il padre di Thomas Mann, e poi si compra la macchina utensile da 20 milioni di euro.