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 2012  luglio 04 Mercoledì calendario

I MISTERI DELL’AMORE MALATO PERCHÉ SOLO UNA DONNA SU DUE LASCIA IL COMPAGNO VIOLENTO


Le donne ne parlano poco, a fatica, e di solito dopo molto tempo. Ammettere che per anni si è pianto ma sopportato, sofferto ma non denunciato, spesso davanti ai figli, senza aver la forza di rompere le catene, è qualcosa che fa male, troppo male. Eppure è così. La maggior parte delle donne vittime di violenza tra le mura domestiche resta con il proprio partner. Per sempre, per un periodo lungo, per alcuni anni: comunque la rottura non è immediata e molto dipende dall’età delle donne, dalla presenza dei figli, dalla regione in cui si vive. Fuggire da mariti, fidanzati, padri aguzzini sarebbe la cosa più ovvia, più giusta, mettersi in
salvo, proteggere i figli. E invece si resta: per paura, per povertà, per dipendenza. O altro. Quasi fosse una specie d’amore malato. «Mi picchiava per gelosia, così credevo...». Sono questi i risultati, sorprendenti e amari, di una ricerca dell’università di Bologna e della Fondazione Icsa, presieduta da Marco Minniti, dal titolo “Strategie di risposta alla violenza: chi resta e chi va”. Quanto conta l’età, l’avere figli, vivere al Sud o al Nord… Così, ad esempio, si legge nello studio curato da Federica Santangelo con la supervisione di Asher Colombo, docente di Sociologia all’università di Bologna, fra le donne nate negli anni Sessanta e Settanta «il 50 per cento abbandona il partner entro otto anni dall’inizio della relazione violenta». Un tempo che si dimezza, scendendo a quattro anni e mezzo per le donne del decennio successivo (1971-1980), contro i dodici mesi delle più giovani, nate dopo gli anni Ottanta. Mentre invece per le donne anziane, o comunque vissute tra gli anni 40 e 50, la statistica è quasi inesistente, perché
era davvero raro che si fuggisse da un marito persecutore, in assenza, anche, della legge sul divorzio, arrivata in Italia soltanto nel 1970.
Numeri che raccontano abusi ripetuti, case che diventano
prigioni e abissi di dolore, con bambini spaventati costretti ad essere testimoni di violenze, che li cambieranno per sempre. Un dato interessante della ricerca dimostra infatti che l’aver assistito da piccoli ad abusi fami-
liari, rende poi le donne più vulnerabili alla violenza di coppia, mentre i maschi tenderanno a ripetere da adulti ciò che hanno visto fare al padre. Un’eredità familiare malata dunque. «I figli apprendono l’uso della violenza,
e interiorizzano norme che giustificano ruoli di genere, nei quali la donna sia vittima, e all’uomo sia consentito adottare forme di coercizione fisica e sessuale ». E i dati in generale sulla violenza sessuale, dentro e fuo-
ri le mura domestiche, il 7,8 per cento di tutti i reati denunciati e gli unici in ascesa invece che in calo, dicono che non c’è differenza tra Nord e Sud. Anzi è tra le regioni del Centro Nord che si registrano (dati Istat) il maggior numero di aggressioni contro le donne, in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna.
Raccontava una giovane mamma rifugiata con i due figli in uno dei centri antiviolenza di Roma: «Chiudeva la porta a chiave ed alzava la televisione. Poi con un grosso asciugamano arrotolato e bagnato mi picchiava con rabbia. E quando uscivo pretendeva che coprissi braccia e gambe per non far vedere i lividi. Ma non riuscivo a lasciarlo: non avevo né soldi né amici, non sapevo dove andare. Sono scappata mentre lui era al lavoro, con l’aiuto di una vicina…
». Ma perché è così difficile abbandonare un partner che picchia, umilia, stupra? Nella ricerca dell’università di Bologna sono tre i fattori che bloccano le donne, che le “congelano” in balia di mariti, compagni, fidanzati torturatori: la durata della relazione allo scattare del primo episodio violento, la zona geografica di residenza, e la presenza o meno di figli. E se per una donna l’essere nata e vissuta al Sud può voler dire mancanza di lavoro e dunque di autonomia (elementi fondamentali per riconquistare la libertà) è davvero la presenza di figli a far esitare le vittime delle violenze domestiche nel decidere di rompere la relazione. In ogni caso, questa è la conclusione dello studio, la violenza di coppia spesso fa parte di un ciclo che parte, anche, dall’infanzia e dalle radici familiari. Ed è da lì che forse bisogna interrompere la
catena degli abusi.