L. Mais., Il Sole 24 Ore 4/7/2012, 4 luglio 2012
FARO ACCESO SUI MANAGER DEGLI ALTRI ISTITUTI INGLESI
Se non ce l’ha fatta un sacerdote è difficile immaginare chi possa essere l’anima buona, e coraggiosa abbastanza, per mutare la pelle di un sistema che non riesce a redimere sé stesso. Stephen Green, 61 anni, fino al 2010 presidente di Hsbc, e prima di allora ceo del colosso con la testa a Londra e le radici in Cina, è un prete anglicano di solidi principi. L’etica che lo illumina potrebbe non bastare per metterlo del tutto al riparo da alcune pratiche che stanno facendo deragliare il banking britannico. Prima di inoltrarsi nei meandri della City s’era fatto le ossa negli ostelli per alcolizzati dell’East End, purificazione radicale alla vigilia della tenzone con le ambizioni smisurate dei suoi colleghi. Aveva anche resistito, Stephen Green, arrivando a radere a zero, in alcuni casi, le gratifiche dei traders, i meglio pagati per antica e tradizione. Poi nel 2008 cedette ponendo la sua firma sotto un pacchetto di 120 milioni di sterline, paga triennale per sei top executives di Hong Kong and Shangaii bank. Lord Green - oggi è ministro del governo Cameron - lo giustificò e si giustificò con la teoria di sempre: bisogna premiare il merito. Il problema è che lo scandalo Libor aggiunge nuove ombre al concetto di merito. I fatti, se provati, avvennero quando anche lui era al timone di un gruppo bancario che oggi è in cima al mondo, passato con danni relativamente contenuti fra i venti del ciclone credit crunch. Hsbc con Barclays, Ubs e Rbs è uno degli istituti-chiave nella determinazione del tasso interbancario londinese soggetto a presunte manipolazioni.
Se anche la "finanza anglicana", per usare un lessico a noi familiare, ha davvero faticato a restare impermeabile agli eccessi, resta da capire che cosa farà il successore di Stephen Green. Non tanto il presidente, Douglas Flint, ma il cinquantaduenne ceo, Stuart Gulliver. Tocca a lui timonare la trasformazione di Hsbc in sé stessa, ovvero consolidarla, più di quanto lo sia stata in passato, nei mercati core, quelli del sud est asiatico. A cominciare dall’amatissima Hong Kong. «Il dinamismo è straordinario - ha dichiarato in una rara intervista rilasciata al Financial Times - puoi reinventare te stesso facendo i conto con un solo limite: la tua intelligenza. Non è così a Londra». Per ora gli tocca la meno eccitante prospettiva di valutare come finiranno gli accertamenti che Fsa, il regolatore Usa e quello giapponese svolgono anche sul caso Libor. Se finirà male ci sarà un motivo in più, crediamo, per spingere mister Green ad accelerare i progetti di trasloco nell’ex colonia di Sua Maestà.
Stephen Hester, 51 anni, non può aspirare di muovere nelle brume scozzesi. È il ceo di Royal bank of Scotland, uno dei lavori più tosti del banking britannico dal credit crunch in poi. Svuotata di tutto dall’ego ipertrofico di Fred Goodwin che sognava di sedere in cima al mondo bancario europeo, Rbs è oggi all’80 e più percento del Tesoro. Un investimento dimezzato: il contribuente inglese vanta decine di miliardi di sterline di credito da Rbs e leggere che gli è anche toccato pagare un’extra sugli interessi dei mutui per via di un Libor taroccato, duole. Peggio, irrita e ancor di più. La prossima nella pipeline dei regolatori dovrebbe essere Ubs. È da Zurigo - vedi altro articolo - che potrebbe arrivare la notizia di un nuovo accordo multimilionario, ma poi sarà la volta di Royal Bank of Scotland. Si sussurra che Stephen Hester sia in attesa di un conto da 150 milioni di sterline. Per il momento ha liquidato quattro traders. Ruzzolerà anche il capo del gagliardo Stephen ? La mano è al buio, ma se dovesse accadere non potrà lamentarsi. «Se sei un calciatore - ebbe a dire nel 2009 appena investito del gigantesco mandato di resuscitare un cadavere finanziario - vuoi giocare la finale di Champions League. È lo stesso nel business…vuoi mettere te stesso alla prova con le sfide più complesse». Eccoti servito, mister Hester.